Alla 78ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è arrivato Last Night in Soho, ultima fatica registica di Edgar Wright che ha portato al Lido la diva di La regina degli Scacchi Anya Taylor Joy.
Last night in Soho, la trama
Eloise – che preferisce farsi chiamare Ellie – è una ragazza di campagna che decide di trasferirsi a Londra per inseguire il suo sogno di diventare una stilista.
Dopo essere riuscita ad entrare in una nota università di moda, la ragazza si rende però conto che Londra “è troppo“. Soprattutto per una ragazza come lei, che si trascina una tragedia alle spalle che influenza molti aspetti della sua vita.
Incapace di fare amicizia ed essere “come tutti gli altri”, Ellie lascia lo studentato e affitta un monolocale in una vecchia casa.
All’interno della sua nuova abitazione Ellie entrerà in qualche modo in contatto con la storia di un’altra donna (Anya Taylor-Joy), una bellissima cantante che diventerà per la ragazza una fonte di ispirazione e non solo.
Last night in Soho: la recensione
Specchio delle mie brame
È difficile cercare di riassumere l’anima più profonda di Last night in Soho. In parte perché è desiderio dello stesso regista che il pubblico segua il viaggio di Ellie senza conoscerne le tappe.
In parte perché Edgar Wright arriva al festival di Venezia con un film sfuggente, che ricaccia ogni possibile tentativo di incasellamento.
Non solo per quanto concerne il genere di appartenenza – è un horror? Un thriller? Un romanzo di formazione? -, ma soprattutto per quel che riguarda l’essenza stessa di questa opera di ingegno.
Last night in Soho è un film che inizia seguendo una direzione; poi però svolta bruscamente, a tratti si smarrisce e così facendo fa sì che anche lo spettatore perda ogni punto di riferimento.
Un tratto, questo, che non deve essere percepito come negativo: al contrario, lo spettatore finisce con avere un’esperienza molto simile a quella della protagonista e così facendo arriva a un grado superiore di empatia.
E sembra proprio essere lo smarrimento l’elemento principe che Edgar Wright segue nel suo ultimo film. Un gioco di dubbi, paure e incertezze che riesce a rimandare con una regia poderosa ed estetica, che all’attenzione del movimento controbilancia una costante ricerca del bello.
La regia è senza dubbio il punto di forza del film, la sua firma più concreta. Il regista si diverte dietro la macchina da presa e anche se viene meno quel tono scanzonato tipico del cinema di Wright, non manca quell’evidente amore per il cinema e per le storie che Wright ha sempre inseguito nelle sue produzioni.
Encomiabile, soprattutto, è il gioco sull’idea (e sullo stereotipo) del doppio. Edgar Wright gioca con le sue due protagoniste, le proietta su specchi infiniti e piani temporali diversi.
E se all’inizio si può avere la sensazione di assistere a una versione un po’ più goliardica di Midnight in Paris, presto lo spettatore si trova davanti a qualcosa di inaspettato e sorprendente, che cattura proprio perché teso all’inaspettato.
Lo specchio diventa allora un oggetto di svelamento e inganno, un personaggio aggiunto che detta regole sconosciute e, ancora una volta, inaspettate.
Colonna sonora, moda e qualche incertezzaincertezza
Per quanto possa apparire scontato parlarne in una recensione di un film di Edgar Wright, Last Night in Soho è un piacere per le orecchie quanto lo è per gli occhi.
Se il senso della vista è appagato dai colori accesi del mondo degli aspiranti stilisti, la colonna sonora del film è essa stessa una seconda linea narrativa.
Le note scelte dal regista – che risalgono quasi sempre al decennio degli anni ’60 – raccontano una storia complementare, come una specie di specchio fatto di melodie che accompagnano il cammino dei protagonisti.
Nello specifico è da brividi la versione del brano Downton di Petula Clark eseguita da Anya Taylor-Joy che con la sua bellezza aliena riempie lo schermo, cattura lo sguardo e finisce con l’essere il vero centro narrativo ed emotivo di tutta l’operazione filmica.
Edgar Wright diverte e intrattiene con il suo ultimo film, anche se non manca qualche incertezza.
A volte si ha come l’impressione che ci sia troppa carne al fuoco e in un paio di occasioni le risoluzioni scelte lasciano più di un dubbio, come li lascia anche la parte legata alla storia d’amore che corre nel film.
Ma il risultato è comunque un film che asseconda quella che è la vera ambizione del cinema: sedurre e colpire.