Il primo, mitico gioco interamente dedicato a Mario e punto fondamentale di nascita del platform
Come sappiamo, il Super Mario Bros. del 1985 non è esattamente il primissimo gioco completamente incentrato sull’idraulico italiano più famoso del mondo videoludico. In fondo, già Donkey Kong lo vedeva come protagonista, anche se ancora con il nome non ufficiale di Jumpman; ed è di fatto Mario Bros., del 1983 (senza “super”), ad introdurre la maggior parte degli elementi classici legati al personaggio.
Ciò nonostante, per tutti i fan dell’idraulico è appunto il titolo dell’85 quello che, di fatto, dà vita alla sequela di videogiochi, usciti uno dopo l’altro, oggi tutti considerati dei super-classici. I primi tre “super”, ai quali seguono Super Mario World, Yoshi’s Island, Super Mario 64, Super Mario Sunshine e Super Mario Galaxy. Oggi, tutti leggendari, quale più quale meno. E tutto parte da quel semplice 2D side-scrolling di metà anni ‘80.
Il quel primo, elementare gioco di Mario, ci sono molte limitazioni. Per cominciare, non si può tornare indietro, ma ci si può solo muovere in avanti. C’è un tempo limite. Basta essere toccati una volta da un nemico e si muore (sempre di non cadere nelle numerose buche: la conseguenza è la stessa). I power-up sono tre: il fungo, il fiore e la stella; punto.
Anche le ambientazioni sono poche: erba, funghi giganti, sotterraneo, sott’acqua e castello. Poche le variazioni sui temi: la neve, la notte, il vento che soffia contro. Ci sono, al contempo, anche quegli elementi poi diventati simboli della saga quanto lo stesso Mario: i tubi; le piante piranha; i goomba e le tartarughe; i blocchi “?” e le monete sospese per aria; la bandierina alla fine del livello.
E poi i boss, sempre in attesa alla fine del quarto livello di ogni mondo (classicamente, il castello): i Bowser (o sempre lo stesso?) che possono essere sconfitti solo passandoci oltre e facendoli finire nella lava. Quindi, il messaggio dei Toad che ha tormentato generazioni di giocatori e che ha dato adito a parodie a non finire: “Sorry, but our princess is in another castle”.
Una semplicità inaudita, una essenzialità esemplare. Già questo primo gioco, nella sua unione sapiente di suoni, colori, ambienti, movimenti e motivi tratti dalla cultura e dalla tradizione giapponese, possiede tutto il necessario per mettere in piedi un franchise duraturo e dorato. Non lo si direbbe all’epoca: come implementare un titolo di questo tipo?
Eppure Nintendo ci riesce, e più volte, anche a distanza di trenta o quasi quarant’anni (Super Mario Odyssey, l’ultimo capolavoro della serie, è del 2017). Tutto inizia qui: da quelle storiche musichette pensate da Koji Kondo, tre vite a disposizione, un goomba già in vista. A ripensarci oggi, con tutto quello che è successo e che c’è stato nel frattempo, fa quasi impressione.