Leisure è l’esordio fulminante dei Blur. Rileggiamo il disco trent’anni dopo
Forse nel 1991 la scena rock inglese non è ancora pronta per l’esordio dei Blur. O forse sono loro stessi, quartetto di giovanissimi destinati a cambiare la storia della musica, a non essere pronti per il loro successo. Ma con l’uscita di Leisure, nell’agosto di quell’importante anno, arriva e arriva subito. Naturalmente, è solo l’inizio di una delle migliori carriere nella storia del rock.
Damon Albarn, Graham Coxon, Alex James e Dave Rowntree si affacciano sul mondo della musica con un album che sa di Stone Roses fino al midollo, pur non venendo da Manchester. Non c’è da stupirsene: in quel momento poche altre band inglesi sono significative e influenti quanto quella di Ian Brown e colleghi, e i Blur non possono non risentirne.
Allo stesso tempo, però, si sente subito che siamo di fronte a qualcosa di totalmente originale. Quello che emerge, fin da subito, è la chitarra del geniale Coxon (da noi inserito tra i chitarristi più sottovalutati di sempre), che parla i più diversi linguaggi: dal brit rock influenzato dal lavoro di Johnny Marr alla neo-psichedelia di fine anni ’80 con accenni di funk e hard rock.
Lo si sente immediatamente in canzone come She’s So High, There’s No Other Way e Bang, pezzi esplosivi dai ritornelli perfetti e dalle atmosfere vivaci che sembrano voler prendere le redini dell’intera scena inglese. Ma oltre alle hit, l’album è pieno di gemme stupende oggi un po’ dimenticate, come la maestosa Repetition.
Un esordio frettoloso, ma già estremamente interessante
Il dialogo è tra la ritmica essenziale di Rowntree e le tastierine un po’ alla Stranglers di Albarn, tra il basso tecnico ma anche sobrio di James e i riff geniali di Coxon. Tutto funziona già, ma quello che manca è l’ambizione compositiva che arriverà solo in Modern Life Is Rubbish (1993) e che qui si “limita” alla produzione di brani festaioli, immediati e concisi.
In effetti ascoltando solo Leisure poco si può prevedere di quel che i Blur realizzeranno non tanto nella loro fase britpop, ma dopo, sfuggendo ogni moda e sperimentando con ogni stile, fuori da tutti gli schemi. Leisure è in questo senso un disco state-of-the-art per il rock inglese del 1991: per cominciare, previene l’esordio dei Suede (ed è ben migliore).
Fornisce poi anche le basi per una formula alternativa a quella classicheggiante (nel senso della tradizione inglese che fa capo a Beatles e Kinks) adottata dagli Oasis. Raccoglie l’eredità degli Smiths, ma tagliando via di netto la pesante poetica malinconica di Morrissey e mantenendo semmai quelle particolari innovazioni chitarristiche del maestro Marr.
Limiti e contraddizioni a parte, Leisure rimane a tanti anni di distanza un esordio straordinariamente solido. Anche volendo guardare oltre le facciate delle pronte hit sbattute in faccia (o nelle orecchie) all’ascoltatore, lo stile e le idee ci sono e non aspettano altro che una occasione per maturare. Un paio d’anni, forse tre, e i Blur diventeranno i Blur non solo con la b, ma con tutte le lettere maiuscole.