Takeshi Shudo: lo sceneggiatore di Pokèmon distrutto dalla sua stessa arte

Oggi vogliamo parlarvi della tragica storia di Takeshi Shudo, geniale sceneggiatore della serie anime di Pokèmon, distrutto dalla sua creatura

takeshi shudo, pokèmon
Credits: Wikipedia/ Takeshi8
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Uno dei motivi che hanno portato Pokèmon a divenire il franchise di assoluto successo che è oggi è sicuramente la viralità generata dalla serie animata. Questa ebbe il merito di catturare e fidelizzare l’attenzione di un numero spropositato di fan. Ideatore dietro alla stesura delle prime stagioni oltre che dei primi 3 lungometraggi dedicati fu Takeshi Shudo, sceneggiatore scomparso nel 2010.

Sebbene in linea teorica fosse una sua creatura, la storia raccontata dall’anime e dai film è quanto di più lontano possibile dall’idea che aveva in testa l’autore. Come portato alla luce dal suo blog personale infatti, Shudo voleva creare una storia più adulta e dalle tematiche importanti in modo che la serie potesse attirare anche il pubblico adulto.

I primi problemi sulla serie animata Pokèmon

Perchè non estendere il limite di età dai bambini piccoli agli adulti? Così che le persone possano trovare piacevole l’anime anche una volta cresciute? – scriveva l’autore

Molti episodi della prima stagione finirono per essere censurati in Occidente sebbene siano ritenuti i migliori di tutta la serie animata grazie alle tematiche adulte in essi contenuti. Ma le tematiche centrali non furono gli unici topic sui quali l’autore si scontrò con la produzione. In particolare Takeshi Shudo ebbe da ridire fin da subito con la caratterizzazione che fu costretto a dare ai protagonisti dell’anime, Ash, Misty e Brock.

Avevo inizialmente pensato a varie personalità per loro, ma alla fine dei conti sono stati costretti a imbracciare una personalità stereotipata, facile da comprendere e capace di far empatizzare i bambini, che sono sempre stati il target principale dell’audience. Ci sarebbe stato il modo di fare diversamente, ma visto che il target erano i bambini era meglio renderli personaggi piatti e semplici.

Pokèmon, originariamente, era stato previsto per la durate di solo un anno e mezzo, un tempo troppo breve per lo sviluppo dei personaggi protagonisti davanti a un pubblico di bambini. Ai minori non cambia nulla se persino gli antagonisti sono ritratti in quella maniera semplicistica e facile da comprendere. Però, procedendo così si realizza una produzione fatta solo per bambini: diverrebbe poco interessante per chiunque la guarda.

I gravi problemi con l’alcol

La produzione gli impose una trama banale, stereotipata e dedicata solamente ai bambini. Questo danneggiò seriamente l’equilibrio mentale di Shudo che finì a trova conforto nell’alcol e nelle pillole.

L’alcol mi aiuta a dare un senso a tutte le righe di dialogo che mi girano in testa, e per schiarirmi la mente quando mi sento confuso e perso. Per qualche ragione, quando bevo, posso fare a dei perfetti sconosciuti le domande più fastidiose e senza che il tutto finisca in una rissa.

Se non posso bere, prendo dei tranquillanti (ovviamente quelli che si possono acquistare normalmente in farmacia, non sostanze illegali). Sballarmi un po’ mi aiuta a risolvere tutti i miei pensieri confusi.

In particolare Takeshi Shudo si trovò in disaccordo con un produttore molto influente all’epoca, definito Omae-sama. Egli era principalmente interessato a rendere Pokémon un successo, al contrario dello sceneggiatore che voleva tenere alto il livello del suo lavoro in modo da essere fruibile anche per i più grandi.

Ho sperato in un successo, ma piuttosto che puntare a questo preferivo che la produzione fosse qualcosa che riterrei interessante e di qualità come anime famigliareSe di conseguenza l’anime fosse diventato famoso, mi sarei semplicemente sentito felice. Ma non desideravo particolarmente puntare al gran successo – si legge sempre sul blog di Shudo.

I film Pokèmon

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Parlando anche dei film, la situazione non migliorò. Sebbene i primi tre lungometraggi Pokèmon, scritti da Shudo, siano considerati i migliori di tutta la pletora di pellicole sui mostriciattoli tascabili, anche per questi la produzione decise di tarpare le ali al suo scrittore.

Il primo film, Mew contro Mewtwo, nel quale l’idea iniziale di un clone che vive la sua autodeterminazione era stata un successo, sebbene non esente da critiche circa la sua eccessiva seriosità e sebbene venne applicato un taglio netto al drammatico retroscena del dottor Fuji, convinse pubblico e critica. Tuttavia, è dopo il secondo lungometraggio che Shudo tracolla.

Protagonista del film, Pokémon 2 – La forza di uno, è infatti Lugia, creatura creata in tutto e per tutto da Shudo stesso. Tuttavia leggendo il blog si può scoprire come l’autore volesse che il Leggendario di Johto, re dei Mari, fosse femmina e che si chiamasse solamente X. Shudo rimase dunque sconvolto quando l’anime diede al Pokemon leggendario una voce innegabilmente maschile.

La voce di X a mio avviso doveva essere femminile, perché avevo immaginato il Pokèmon come una figura materna dei mari, nonché incarnazione del mare stesso, che è femmina per me. Ma questa possibilità mi è stata negata. Si è deciso infatti che Lugia dovesse essere un maschio potente.

Gli annunci erano già stati mandati in onda. Era troppo tardi, non potevamo trasformare improvvisamente Lugia in una femmina… Stavo ingoiando alcol e droghe. Ho iniziato a sentire come se volessi morire.

Nelle sue bozze, Shudo voleva che il suo Pokemon fosse un creatore materno di vita, ma nell’anime questo concetto non si mai è manifestato. E per Shudo, quell’offesa era qualcosa che semplicemente non poteva sopportare. Nei mesi che hanno preceduto la sua morte, l’autore scrisse in modo ossessivo di Lugia e della sua visione originale che Pokemon che non avrebbe mai avuto. Passò anche dall’idea di creare una creatura sia maschio che femmina. Ma, ovviamente, nulla di questo fu realizzato.

In questo film inoltre, una delle grandi diatribe si ebbe quando la produzione chiese all’autore di inserire forzosamete una scena che costringesse il pubblico a piangere. Come potete immaginare, questo tipo di sceneggiatura era quanto di più lontano fosse dall’idea di script per come Shudo la intendeva.

Fin da quando ero giovane, ho cercato di non scrivere sceneggiature che costringessero le persone a piangere – scrisse a tal proposito Takeshi Shudo. Se qualcuno piange a causa della mia sceneggiatura, non sono le mie lacrime – le lacrime appartengono a quel singolo spettatore. Questi tipi di lacrime sono il loro tesoro. Se uno scrittore sta pianificando “dove farli piangere”, “dove farli ridere”, “dove mettere la rivelazione spettacolare” – significa che lo scrittore sta guidando ogni emozione del pubblico. Il pubblico dovrebbe piangere quando ha voglia di piangere, ridere quando ha voglia di ridere e, se il film è noioso, annoiarsi e uscire dal cinema”

Nel terzo film infine, Takeshi Shudo voleva approfondire il tema della presenza del mondo animale reale nell’Universo dei Pokèmon. La storia si sarebbe dovuta centrare infatti su un fossile di t-rex che prende vita. Idea cassata a causa del fatto che questo non avrebbe fatto vendere abbastanza merchandise. Cosa che, ovviamente, fece precipitare sempre più l’equilibrio mentale di Shudo. L’autore ripiegò dunque su Entei e sugli Unknown. Nel film tuttavia riuscì anche ad inserire un tema a lui caro: il rapporto genitoriale tra padre e figlia femmina.

Nella storia infatti la bimba protagonista che vede in un Entei illusorio una figura paterna si chiama Mii. Questo è anche il nome della figlia stessa di Shudo. Dunque nonostante tutto, l’autore riuscì ad inserire componenti adulte nel suo film. Ma questo non lo salvò dal tracollo e da una serie, sempre più frequente, di ricoveri ospedalieri causati dall’alcolismo.

La fine di Takesi Shudo

Inizialmente l’autore avrebbe dovuto anche scrivere il quarto film Pokèmon che, nella sua testa, avrebbe dovuto parlare della ribellione fatta dalle creature, oramai consapevoli di essere solo schiavi. Questo però avrebbe decretato la fine del franchise, cosa che ovviamente, The Pokèmon Company non poteva permettersi.

Dopo pochi anni dunque, Takeshi Shudo si dimise da Pokèmon e continuò la sua opera di autodistruzione. Questo fino a quando morì, il 29 ottobre 2010, a causa di un’emorragia subaracnoidea, una fine che vita di abusi ha sicuramente favorito.

Un uomo geniale, distrutto dalla continua sensazione di inadeguatezza e insoddisfatto di non vedere la sua arte compresa e sfruttata. Tuttavia se oggi persone adulte sono ancora qui a parlare di Pokèmon, sebbene continui a vivere come franchise per bambini è solo grazie a quelle pillole che così faticosamente Shudo ha inserito nei suoi lavori e che oggi riusciamo a percepire.

Grazie di tutto Takeski.

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