Una delle più belle canzoni di De André: ma chi è davvero Bocca di Rosa?
Tra tutte le canzoni del canzioniere di Fabrizio De André, Bocca di Rosa è certamente una delle più conosciute e cantate. Complici il ritmo semplice e cantilenante, la semplice melodia ripetuta senza sosta e la storia, nella più fiera tradizione folk cantautoriale, che si dipana su di essa.
Opinione diffusa è che la canzone parli di una prostituta, così come anche Via del Campo, della quale è b-side quando esce come singolo, nel 1967. In realtà, per quanto oggi il titolo della canzone si utilizzi come eufemismo di una tale figura, il testo sembra suggerire diversamente, come vedremo.
La chiamavano Bocca di Rosa Metteva l’amore, metteva l’amore La chiamavano Bocca di Rosa Metteva l’amore sopra a ogni cosa
Appena scesa alla stazione Del paesino di Sant’Ilario Tutti s’accorsero con uno sguardo Che non si trattava d’un missionario
Bocca di Rosa, nome “d’arte” d’una donna ignota ma chiaramente seducente, giunge nel fittizio paesino di Sant’Ilario. Secondo De André la storia è reale ed ha riguardato lui in persona a Genova, nel 1962, dove la sua Bocca di Rosa è scesa alla stazione di Nervi.
C’è chi l’amore lo fa per noia Chi se lo sceglie per professione Bocca di Rosa né l’uno, né l’altro Lei lo faceva per passione
Ma la passione spesso conduce A soddisfare le proprie voglie Senza indagare se il concubito Ha il cuore libero oppure ha moglie
Da questi versi appare chiaro che Bocca di Rosa non esercita propriamente il mestiere di prostituta, né sceglie il sesso come sfogo per il proprio malessere esistenziale. Piuttosto, sembra appassionata dell’atto carnale vero e proprio, scevro di ogni significato che non sia insito nel piacere stesso.
E fu così che da un giorno all’altro Bocca di Rosa si tirò addosso L’ira funesta delle cagnette A cui aveva sottratto l’osso
Ma le comari d’un paesino Non brillano certo in iniziativa Le contromisure fino a quel punto Si limitavano all’invettiva
Una figura dirompente in un paesino sonnolento, con rapporti che possiamo immaginare stantii e consunti. Come la Daisy Miller di Henry James, la nuova ragazza sembra portare con sé il colore in un ambiente in bianco e nero.
La sua avvenenza cattura ovviamente subito i maschi del paese, mariti annoiati da matrimoni spentisi anni addietro, frustrati dal lavoro e dalla noia e bisognosi di trasgressione. Ci viene fatto intendere che la ragazza non lo fa con malizia: le è naturale attirare gli uomini a sé.
Si sa che la gente dà buoni consigli Sentendosi come Gesù nel Tempio Si sa che la gente dà buoni consigli Se non può più dare cattivo esempio
Così una vecchia mai stata moglie Senza mai figli, senza più voglie Si prese la briga e di certo il gusto Di dare a tutte il consiglio giusto
Le mogli, tradite di nascosto ma ben consapevoli di tutto, in un paesino nel quale le voci girano e tutto si sa, non sanno come reagire. Si convertono in malelingue e gettano sulla nuova venuta ogni tipo di imprecazione, ma ovviamente non basta a sedare i risvegliati appetiti dei loro uomini.
Ad intervenire nel modo “giusto” è una figura estranea a codeste meccaniche, e perciò più lucida nel giudicare e in grado di guardare il problema da una prospettiva diversa. Un’anziana zitella, probabilmente invidiosa ma allo stesso indifferente perché non direttamente coinvolta, suggerisce il ricorso alla giustizia.
E rivolgendosi alle cornute Le apostrofò con parole argute “Il furto d’amore sarà punito” – disse – “Dall’Ordine Costituito”
E quelle andarono dal commissario E dissero senza parafrasare: “Quella schifosa ha già troppi clienti Più di un consorzio alimentare”