Heart of Darkness: un ragazzino perso nei suoi incubi
Tra tutti i titoli per PlayStation, tra i giochi con i quali siamo tutti cresciuti venti e più anni fa Heart of Darkness occupa sicuramente un posto d’onore. Atipico, grottesco, orrifico, paralizzante persino. Un gioco memorabile per la sua capacità di costruire un’atmosfera fantasy/horror esemplare, pur se affidata ad una grafica essenziale e a un 2D ormai anacronistico.
Protagonista: quello che potrebbe essere il personaggio diun film di Steven Spielberg, o uno dei ragazzi di Stranger Things. Il giovane e scapestrato Andy, che con una navetta di sua invenzione parte alla ricerca del suo cane, Whisky, rapito da strani esseri di un mondo oscuro durante un’eclissi.
Eccolo quindi in un universo terribile, primitivo, nel quale agiscono forze primordiali dall’aspetto mostruoso. All’inizio per difendersi ha un’arma di sua invenzione, ma gli viene sottratta quasi subito. Dovrà quindi fare appello a tenacia, coraggio e determinazione per proseguire la sua ricerca attraverso ambienti ostili e nemici terrificanti.
Andy si trova a scontrarsi con un intero esercito di ombre senza volto, ma affamate di carne, che divengono via via più pericolose e letali. Deve affrontare il loro capo, il Maestro delle Tenebre, che inizialmente intendeva rapire lui e non il cane. Non a caso, il villain somiglia molto all’insegnante che, a scuola, chiudeva Andy in punizione da solo, al buio.
Questo perché il cuore delle tenebre affrontato da Andy è la rappresentazione della sua stessa nictofobia, la paura del buio che lo tormenta. L’universo tremendo nel quale deve immergersi è il regno degli incubi che permeano la sua stessa mente, come ci viene dimostrato dal finale. Ossia: Andy non se ne è mai andato dalla sua capanna sull’albero. Ha sognato tutto.
Un viaggio nella paura in forma di avventura videoludica: altro che “gioco”
Anche se alla fine ci viene svelato che i relitti della nave del ragazzo sono ancora nel mondo delle tenebre (segno che il suo viaggio sarebbe avvenuto davvero), l’intera sua avventura è chiaramente una metafora dei suoi sforzi per vincere la temuta nictofobia. Andy affronta in buio in tutte le sue sfaccettature: ciò che si teme della tenebra non è quello che è, ma cosa vi si nasconde.
Il gioco sostiene perfettamente ogni attimo dell’avventura, con un gameplay scorrevole e fluido affidato a comandi ben calibrati, elementi platform e puzzle mescolati a tratti chiaramente Metroidvania. In alcune aree Andy deve battersi, in altre capire come proseguire, in altre ancora cercare di non morire nell’attraversare aree letali e pericolosissime.
Il mondo di Heart of Darkness è colmo di insidie, inospitale praticamente per antonomasia, e gli sforzi del ragazzo non vedono tregua o pausa. Il gioco scorre infatti come un romanzo, con una trama minima e asciutta, che coinvolge principalmente il personaggio Smeagol-esco del servitore rosa del villain, che fa un patto con Andy.
Pur essendo un gioco in 2D nel 1998, anno nel quale il 3D è ormai affermato, Heart of Darkness nulla fa rimpiangere delle nuove possibilità grafiche all’orizzonte. Come in Abe’s Oddyssee, il realismo c’è nonostante i pixel e qualunque bambino dell’epoca viene subito coinvolto in questa avventura da film horror anni ’80.
Lo abbiamo rigiocato dopo anni e anni su PC, oggi può sembrare ingenuo e superato. Ma va considerato come una gemma a sé stante in un periodo nel quale i videogiochi non erano tutti omologati e lo sviluppo di titoli intriganti e complessi come questo, con varie chiavi di lettura, non era per nulla all’ordine del giorno.