Billie Eilish trionfa alla prova del secondo album
Sono passati poco più di due anni dall’esordio ufficiale di Billie Eilish. La cantante, ormai celeberrima, ci propone oggi il suo secondo lavoro, dal titolo Happier Than Ever. Una prova sempre importante, quella del secondo album. Prova, in questo caso, ampiamente superata (come un po’ c’era da aspettarsi).
Innanzitutto, la conferma delle capacità artistiche della ragazza, che stabilisce una volta per tutte di non essere una meteora né un fenomeno passeggero. Secondo poi, una collezione di canzoni (ben sedici) eclettica, che tocca vari ambiti e ambienti musicali ma con una mira unica: una liberazione.
Billie è praticamente la cantante più famosa del mondo e possiamo immaginare come questo, assieme ai problemi di depressione da lei accusati in passato, possa creare una pressione enorme. Ed è da questa pressione che la cantante intende emanciparsi, con una serie di riflessioni sull’auto-accettazione e sulla comprensione del mondo al di fuori di sé.
Non tanto, però, una grande seduta psico-terapeutica come in WHEN WE ALL FALL ASLEEP, WHERE DO WE GO (2019), quanto piuttosto una serie di considerazioni maturate dopo un lungo percorso di miglioramento. Percorso che ha portato ai suoi risultati: ecco perché Billie è “più felice che mai”: ha compreso che la felicità è una strada, non una meta.
Le canzoni scritte da lei e Finneas (in quarantena per la maggior parte) inseguono proprio uno stile prevalentemente riflessivo, quasi a voler smentire lo status di popstar acquisito dalla cantante e a voler invece sussurrare, a voce bassa (letteralmente) di ciò che sta dietro le quinte, e che non si vede.
Tante sono le ballad: Getting Older, molto stile (metà) secolo scorso; Halley’s Comet; Your Power; e la grande chiosa della title track, con un climax finale molto arena rock anni ’80. Ci sono poi i brani particolarmente interessanti per esplorazione stilistica come la Billie Bossa Nova, che già dal titolo dice tutto. E la ormai ben nota My Future.
Tranquilli, però, perché la parte electropop da scalmanata che di Billie abbiamo apprezzato in canzoni come Bad Guy non è andata perduta. La si ritrova, pompata al massimo, in Oxytocin, di sicuro la canzone più esagitata dell’album, quella da party. Non solo: ci sono anche Therefore I Am (singolo del 2020), NDA e GOLDWING. Tutti ottimi brani.
Nei pezzi Billie sciorina una serie di elucubrazioni sul suo status di superstar e sui cambiamenti che sono intervenuti nella sua vita personale e privata, nelle relazioni (I Didn’t Change My Number, traccia 2) e nel modo in cui gli altri la percepiscono. Interviene in questo senso un “must” della sua produzione recente: una versione musicale (ed estesa) di Not My Responsability.
Parliamo del corto da lei diretto, risalente al 2020, sul body shaming. Un commento sull’essere sempre sotto gli occhi di tutti e sui giudizi costantemente espressi, spesso con esasperante superficialità, dall’onnipresente tribunale dei social. La traccia, la più sentita e profonda del disco, sfocia poi nello sfogo sonoro corrispettivo: OverHeated.
Dire che quella di questo secondo album è una Billie matura è forse dire poco. Di sicuro, è una Billie che sta crescendo, in un mondo sempre più complicato e mai come ora in preda a criticità inafferrabili. Ma la cantante prosegue nel suo percorso, guida tutti quanti e miracolosamente riesce ancora ad agire da outsider: originale e fedele a sé stessa.