10 capolavori che non hanno vinto l’Oscar al miglior film

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5) Apocalypse Now, Francis Ford Coppola (1979)

Apocalypse Now; Francis Ford Coppola; Oscar
Martin Sheen in Apoclypse Now CREDITS: Titanus

Di certo se fossero stati assegnati a Francis Ford Coppola tutti i (meritati) Oscar per ciò che ha prodotto negli anni ’70, non avrebbe avuto alcun rivale. Nel decennio si ricordano del regista titoli come Il padrino, La conversazione, Il padrino parte II e l’indimenticabile Apocalypse Now. Un quartetto ineguagliabile racchiuso in una decina d’anni.

L’ultimo dei quattro trionfò solamente nelle categorie della fotografia e del sonoro. Ricordiamo che a curare le immagini fu il maestro Vittorio Storaro.

Coppola nel trasportare Cuore di tenebra sul grande schermo riporta la narrazione a un tema ancora scottante al momento, la guerra del Vietnam. Molti sono i film riguardanti il controverso e inutile conflitto. Ma possiamo affermare con sicurezza che l’opera di Coppola ne rappresenti la vetta più alta.

Il regista unisce vari generi, passando dalla commedia grottesca al tragicomico all’orrore fino all’avventura, senza mai dimenticare di rappresentare la disumanità della guerra.

Non stupisce che i reparti tecnici siano stati premiati: il viaggio del protagonista per recuperare il colonnello Kurtz è un’esperienza multisensoriale anche per lo spettatore. Ma ogni categoria sarebbe degna del prestigioso premio. La regia crea delle inquadrature ancor oggi memorabili e porta gli attori a dare il meglio di sé, interpretando un testo scritto in punta di penna.

Indimenticabili le interpretazioni di Martin Sheen e di Marlon Brando. Il vero capolavoro degli anni ’70, nonostante la mancata premiazione, ha ricevuto col tempo il giusto apprezzamento.

Nella stessa edizione degli Oscar anche un altro capolavoro come All That Jazz venne sconfitto da un classico del cinema americano, ovvero Kramer contro Kramer.

6) Quei bravi ragazzi, Martin Scorsese (1990)

Goodfellas; Martin Scorsese
L’iconica scena di Joe Pesci e Ray Liotta in Goodfellas CREDITS: Warner Bros. Italia

Doveroso tornare sul regista italoamericano, che per questo film non vide il giusto riconoscimento da parte dell’Academy.

La mancata premiazione agli Oscar di un film come Quei bravi ragazzi costituisce di certo uno shock per i più. Ma ciò non ha permesso al film di non essere apprezzato e amato dai cinefili di tutto il mondo.

La descrizione di Scorsese della mafia italoamericana potrebbe essere considerata un documentario, se non fosse per uno sguardo fortemente cinematografico. Ma la componente antropologica non abbandona mai la narrazione. Scorsese analizza i suoi anti-eroi senza esprimere giudizi, semplicemente mettendoli a nudo.

La storia è quella di Henry Hill, un ragazzo cresciuto all’interno delle famiglie mafiose di New York come loro pupillo. La sua parabola vedrà il disintegro delle sue convinzioni e del sistema di valori che lo ha cresciuto.

Scorsese crea un racconto avvincente e ritmato per permetterci di entrare nella frenetica vita di questi criminali. Le loro disavventure sono fotografate dal compianto Michael Ballhaus, che tra luce e ombra mette in mostra l’animo oscuro dei protagonisti.

La regia privilegia un’attenzione esclusiva sui personaggi, tratteggiati con una perizia insuperabile. Non manca una componente grottesca, rappresentata dal personaggio di Joe Pesci, che porta a casa la sua prova migliore. De Niro, Liotta e Lorraine Bracco poi sono perfetti nei rispettivi ruoli. Un capolavoro che, nonostante i trent’anni di vita, risulterà sempre fresco come se fosse uscito l’altro ieri.

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Quell’anno video trionfare all’Oscar il Balla coi lupi di Kevin Costner.

7) Pulp Fiction, Quentin Tarantino (1994)

Pulp Fiction; Quentin Tarantino; Oscar
John Travolta e Samuel Jackson in Pulp Fiction CREDITS: Cecchi Gori Group

Forse anche in tal caso la comprensione della grandezza di un’opera che ha segnato gli anni ’90 ha dovuto aspettare del tempo. Una kermesse ben più attenta, capace di valorizzare autori che guardano fuori dagli schemi, come quella di Cannes, ha dato il giusto riconoscimento all’opera.

Quentin Tarantino, al suo secondo film, si impone sulla scena come nuovo autore destinato a sbaragliare l’equilibrio preesistente. Di fatto, con i propri lavori creerà delle vere e proprie mode, delle tendenze e una modalità di fare film. Lo stesso termine «pulp» diverrà associato alla firma del regista losangelino, comprendente una componente grottesca, surreale a tratti. Il tutto è condito con dialoghi a dir poco geniali, che comprendono le patatine fritte, l’erba di Amsterdam e i massaggi ai piedi.

Con Pulp Fiction Tarantino scrive le regole del post-moderno, fatto di citazioni, inquadrature impossibili, tagli di montaggio estremi e trame assurde. La sua regia è precisa, attenta ai personaggi, ma anche innovativa, energica. La sceneggiatura lega storie unite dall’unico filo conduttore del sottobosco della criminalità della città degli angeli, formata da personaggi assurdi, dediti alla sopravvivenza.

Il nostro Quentin mostra una evidente adorazione per i personaggi creati e gli attori fanno a gara di bravura nel calarsi nei ruoli. Il film vede brillare il talento di Samuel Jackson, nonché la rinascita di John Travolta. Non bisogna dimenticare la grande partecipazione di Harvey Keitel come Mr Wolf e di Uma Thurman come Mia Wallace.

L’Oscar al miglior film venne assegnato a Forrest Gump di Robert Zemekis

8) Fargo, Fratelli Coen (1996)

Fargo; Fratelli Coen
Frances McDormand è Marge Gunderson in Fargo CREDITS: U.I.P.

Poco clemente è stata l’Academy anche nei confronti di questo capolavoro dei Fratelli Coen, cui è stato preferito Il paziente inglese.

Fargo si può inquadrare in una tendenza tipica degli anni ’90 di produrre thriller, spesso ambientati nella provincia americana, fredda e nevosa, dove la civiltà sembra perdersi tra i banchi di nebbia.

La storia è quella di Jerry Lundegaard (William H. Macy), che prova a estorcere una cospicua somma di denaro al ricco suocero, inscenando il rapimento della moglie. Non si affida proprio a dei professionisti e non pochi guai creeranno i novelli rapitori. A Marge Gunderson (Frances McDormand) spetterà il compito di sbrogliare la matassa che avvolge il caso.

Lo stile dei fratelli Coen viene fuori e si esprime nelle scene più folli della narrazione. Una regia precisa e ferma inquadra perfettamente i personaggi nella loro piccolezza e stupidità. L’andamento lento permette un dispiego dei risvolti narrativi senza spasmi, pur mantenendo la tensione alta.

Lo sguardo dei Coen mostra senza alcuna pietà una società allo sbando, venale e indolente, rappresentata da un ensemble di attori fuoriclasse. Si posa su oggetti e persone creando dei quadri indimenticabili, grazie alla fotografia del sodale Roger Deakins.

9) Il petroliere, Paul Thomas Anderson (2007)

Il petroliere; Paul Thomas Anderson; Oscar
Daniel Day-Lewis in una scena de Il petroliere CREDITS: Buena Vista International Italia

In questa annata il vincitore è proprio un grande titolo dei fratelli Coen, Non è un paese per vecchi. Rimane comunque un peccato che il film di Paul Thomas Anderson non abbia trionfato in nessuna delle più importanti categorie. Le uniche statuette furono assegnate infatti a Daniel Day-Lewis per l’immensa prova recitativa e a Robert Elswit per la fotografia. È dunque doveroso rendere giustizia a un film che si può annoverare tra i migliori del ventunesimo secolo.

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Tratto da Oil! di Upton Sinclair, Il petroliere è la storia di Daniel Plainview che, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento cerca la propria fortuna attraverso il petrolio. Sonda le zone ricche di questo bene nella sterminata California acquistando terreni. Il suo desiderio è quello di accumulare somme enormi di denaro, grazie alle quali potrà allontanarsi da tutti.

In una delle estrazioni perde la vita un operaio e Plainview ne adotta il figlio crescendolo come proprio. La storia seguirà poi il suo rapporto con la comunità di Little Boston, divisa tra chi è contrario alle trivellazioni e chi ci vede un’occasione.

Il film ha consacrato Paul Thomas Anderson come uno dei migliori registi della sua generazione e non solo. La regia segue alla perfezione il protagonista, senza lasciarlo mai nella sua discesa agli inferi. Il cambiamento dell’uomo è perfettamente visibile nel volto di Day-Lewis e nel suo rapporto con gli altri.

Le musiche di Jonny Greenwood si sposano perfettamente alla diegesi e conferiscono tensione e dramma necessari alla narrazione. Anderson realizza un capolavoro di portata immane, che simboleggia, attraverso la parabola del suo protagonista, la nascita del capitalismo americano. 

10) Mad Max: Fury Road, George Miller (2015)

Mad Max; George Miller
Tom Hardy in Mad Max: Fury Road CREDITS: Warner Bros

Forse si tratta di uno dei film più discussi e apprezzati dell’ultimo decennio, uno spartiacque con la produzione precedente. Segna il ritorno di un grande autore sulla fortunata saga che lo ha reso celebre. George Miller firma un capolavoro moderno, un film fuori dagli schemi, portatore di un messaggio di portata rivoluzionaria. Rivoluzionario è stato anche il modo in cui è stato realizzato. Forse proprio per questo non si è aggiudicato le ambite statuette, ma furono premiati solo i reparti tecnici.

Il film torna a mostrare le avventure di Max Rockatansky, anti-eroe solitario di un mondo post-apocalittico, dove non esiste più nulla di umano. Sulla propria strada incontra Furiosa (Charlize Theron) e le giovani Mogli, designate per Immortan Joe, il dittatore di questo mondo. Da qui una serie di conseguenze che porteranno a una lotta per la sopravvivenza.

Miller costruisce l’azione e i meravigliosi inseguimenti in macchina con uno stile personale mozzafiato. L’azione è prevalentemente svolta sul set desertico ed esiguo è l’utilizzo di computer grafica. Il ritmo forsennato, dato da un montaggio cinetico, non esclude un’attenzione maniacale sui personaggi. I caratteri e le emozioni dei protagonisti vengono fuori in un percorso verso la rinascita di valori umani ormai dimenticati.

Il premio Oscar venne però assegnato a Il caso Spotlight.