Il premio Oscar rappresenta da sempre un obiettivo ambitissimo per gli addetti ai lavori americani e non solo. Tuttavia, non sempre questa kermesse ha riconosciuto il giusto valore alla giusta opera, preferendola a tutte le altre (compito di per sé arduo). A volte bisogna riconoscere una completa mancanza di visione o delle scelte dettate dalle tendenze del momento o da motivazioni pseudo-politiche.
Spesso alcuni capolavori non vengono compresi e apprezzati immediatamente. Un film di norma necessita del tempo per sedimentare e acquisire il giusto riconoscimento. Altre volte alcuni titoli rappresentano uno stacco troppo forte con ciò che veniva prima.
Le tecniche messe in atto, i temi trattati, ogni elemento concorre a costruire un immaginario, che può venire accettato o no. Ciò che è certo è che di certi film non si può discutere la bellezza visiva e il perfetto utilizzo dei mezzi cinematografici.
Per questo abbiamo selezionato dieci film che hanno subito una clamorosa sconfitta agli Oscar (almeno vista da oggi), nonostante la loro importanza ormai riconosciuta nella storia del cinema.
1) Quarto potere, Orson Welles (1941)
Forse si tratta del film che in assoluto segna la più grave mancanza da parte dell’Academy. Quarto potere è tutt’oggi ritenuto tra i migliori, se non il migliore, film della storia del cinema.
Il film segna il folgorante esordio del prodigio (allora venticinquenne) Orson Welles. Il suo desiderio era quello di rappresentare la vita di un magnate, a immagine e somiglianza di William Randolph Hearst, attraverso vari punti di vista. Le mogli, i nemici, gli amici si cimentano in una descrizione il più possibile veritiera, ma sempre soggettiva.
A ogni racconto corrisponde una modalità di messa in scena. L’obiettivo è la rappresentazione di una vita frammentata, piena di contraddizioni e ambiguità. La verità non è il valore da raggiungere, il racconto parla un linguaggio tutto suo, senza il bisogno di farsi specchio della realtà.
Il modo di organizzare l’intreccio e di mettere in scena la rappresentazione della vita di Charles Foster Kane hanno influenzato la generazione di registi americani più importante di tutte, quella della Nuova Hollywood, e non solo.
Tagli sbilenchi e inquadrature dal basso mostrano un personaggio oppresso dalle sue prigioni. Il montaggio frenetico allude alla vita stessa di Kane. La luce, con i suoi tagli espressionisti, crea poi dei quadri di impareggiabile bellezza. Ne viene fuori un racconto artistico, costruito, ma la cui componente umana non viene mai meno e segna un momento di passaggio nel cinema mondiale.
L’Oscar in quella edizione andò a Com’era verde la mia valle, non certo fra i film più ricordati di John Ford.
2) La parola ai giurati, Sidney Lumet (1957)
Siamo nel 1957 e Sidney Lumet esordisce nel mondo del cinema con la sua opera prima. Precedentemente a capolavori come Quel pomeriggio di un giorno da cani e Serpico, mostra il proprio talento costruendo un film perfetto alla prima esperienza.
Scritto da Reginald Rose, inizialmente concepito per la televisione, il film racconta la battaglia interna a una giuria nella decisione del verdetto finale, che deve essere univoco. Sulla base di un ragionevole dubbio uno dei giurati tenta di convincere gli altri undici a non saltare alla conclusione di condannare un ragazzo per parricidio. Le prove non sono inattaccabili ed è giusto dedicare del tempo a una decisione tanto grave.
La parola ai giurati si ambienta in una sola stanza e vede protagonisti solamente i 12 attori nei rispettivi ruoli. La tensione rimane altissima e il ritmo non perde un colpo. La discussione serrata vedrà susseguirsi una serie di colpi di scena che permetteranno allo spettatore di riflettere sui fatti.
La macchina da presa segue i personaggi e vi si avvicina fino a costruire dei primi piani di grande impatto. Seppur permanga un richiamo teatrale, il regista attraverso i mezzi propriamente cinematografici, il montaggio, il sonoro, la fotografia, dà forma a un racconto spettacolare. Il film, forse troppo audace per l’epoca, non vinse alcuna statuetta, ma permise al pubblico di conoscere un grande autore, destinato a imporsi sulla scena mondiale.
L’Oscar al miglior film fu però assegnato a Il ponte sul fiume Kwai di David Lean.
3) Il dottor Stranamore, Stanley Kubrick (1964)
Impossibile non citare un grande escluso dalla kermesse più popolare del cinema americano. Stanley Kubrick portò a casa solamente un Oscar nella propria carriera, quello per gli effetti speciali. Non tutti i suoi film vennero tra l’altro nominati per l’ambito premio. La sconfitta del Dottor Stranamore fu sicuramente tra le più eclatanti, essendo a mani basse il migliore (o almeno quello invecchiato meglio) della fortunata cinquina di finalisti del suo anno.
L’opera mostra ancora la grandezza di Kubrick e un primo spostamento del regista verso un cinema più carico, grottesco, stilisticamente personale. Difatti la pellicola oscilla tra la commedia e la tragedia con una naturalezza che segna la miseria del genere umano. In un periodo come gli anni ’60 la paura dell’atomica era indiscutibilmente un argomento molto pressante. Il film, dunque, si iscrive in una tendenza, tipica del regista, di affrontare sempre tematiche attuali.
La simmetria con cui Kubrick taglia le immagini è pari solo alla precisione nel descrivere i personaggi. Un’umanità allo sbando è quella messa in luce dal regista di Arancia meccanica. Tratteggia i lineamenti di un’America reazionaria e spaventata, simboleggiata dai singoli personaggi. Al tema d’attualità infatti si legano, come sempre in Kubrick, temi filosofici e psicanalitici. Le interpretazioni sono in mano allo spettatore, per un film simbolico che ha lasciato il segno indelebile del proprio passaggio.
L’Oscar andò a George Cuckor ed il suo My Fair Lady.
4) Taxi driver, Martin Scorsese (1976)
Dovemmo aspettare il 2007 perché Martin Scorsese ricevesse un meritato Oscar per la sua ineccepibile regia, per The Departed. Ma ancor peggio è che Taxi driver non ricevette alcuna statuetta. Stiamo parlando forse del film emblema della Nuova Hollywood e di uno dei film più amati e studiati della storia del cinema.
Probabilmente dovette passare del tempo per permettere al film di essere compreso nella sua enigmaticità. È sicuramente certo che una volta acquisita la grandezza dell’opera, l’autore Scorsese non è stato più messo in discussione.
La storia di Travis Bickle, che si aggira per le strade di New York di notte osservando il degrado che avvolge la città, è molto nota. Da una sceneggiatura di Paul Schrader, Martin Scorsese realizza un film destinato a rimanere impresso nella mente dello spettatore e riscrivere le regole narrative.
Difatti, i tagli di montaggio repentini, le inquadrature che si accostano agli oggetti, ai volti e la luce soffusa rendono l’opera estremamente suggestiva. A livello sensoriale si è come immersi nell’esperienza del protagonista, da cui non ci stacchiamo mai.
Come se non bastasse, il film può contare su una rosa di attori e attrici che illuminano lo schermo. Primi su tutti,Robert DeNiro, l’esordiente Jodie Foster e il mitico Harvey Keitel cooperano per dare vita a un capolavoro senza eguali.