Figlia d’arte dell’attrice e cantante inglese Jane Birkin e del celebre cantautore francese Serge Gainsbourg, Charlotte Gainsbourg, che è anche musicista, ha lavorato da attrice con alcuni/e tra i registi e le registe più anticonformiste e visionarie del nostro tempo.
Sensuale e sofisticata, le interpretazioni di Charlotte Gainsbourg non scadono mai nell’esagerazione attoriale, ma restano naturalmente magnetiche ed affascinanti, seppur spesso in ruoli pregni di intensità e forza drammatica.
Per festeggiare i 50 anni di questa intrigante attrice, vi proponiamo 8 tra le sue migliori collaborazioni cinematografiche in ordine cronologico.
1) Kung Fu Master (Agnès Varda – 1988)
Agnès Varda dirige l’amica Jane Birkin, madre della Gainsbourg, in un film romantico, malinconico e decisamente sui generis.
Mary-Jane è una trasognatamadre single che alleva due figlie da sola in una bellissima ma solitaria casa parigina. Nella sua vita priva di grossi eventi e lontana dai suoi anni più romantici, si trova ad innamorarsi di un compagno di classe di sua figlia 14enne, Julien (Mathieu Demy). E’ una storia d’amore decisamente ai limiti, che turba un po’ lo spettatore: resta però sicuramente una raffigurazione delicata ed interessante di una situazione romantica particolare e poco trattata nel cinema.
Per la diciassettenne Charlotte, che interpreta realmente la figlia del personaggio della Birkin insieme alla sorellastra Loulou (Lou Doillon, figlia di secondo letto dell’attrice) il progetto così “familiare” poteva essere sicuramente difficile e scomodo da trasporre sullo schermo in una storia così intima e fuori dagli schemi. La giovane attrice, invece, interpreta il suo ruolo con il solito approccio maturo e aggraziato, senza risultare strana o forzata.
Nei panni ancora innocenti e puri di una tipica pre-adolescente francese, Kung Fu Master lascia già intravedere il talento e la naturalezza interpretativa dell’attrice, che la caratterizzerà per tutta la sua carriera successiva.
2) Jane Eyre (Franco Zeffirelli – 1996)
Uno dei primi ruoli da protagonista di Charlotte Gainsbourg è in questo classico della letteratura inglese di Charlotte Bronte, portato sul grande schermo da Franco Zeffirelli. Il regista italiano, tra i più celebri e celebrati all’estero, è noto appunto per gli adattamenti delle opere classiche più famose come Romeo e Giulietta, Amleto ed Otello. Sceglie in questo caso un romanzo di formazione d’altri tempi ma sempre attuale, in una co-produzione internazionale, francese, britannica e italiana.
La storia è un’adattamento piuttosto fedele del libro della maggiore delle sorelle Brontë, e ci parla della vita di Jane Eyre, orfana di madre e padre che si è garantita un’educazione grazie allo zio e che arriva, dopo una serie di vicissitudini non semplicissime, a diventare istitutrice per Adele Varens, giovane pupilla del burbero e misterioso signor Rochester (William Hart).
La storia d’amore tra Jane e Rochester è una delle più note e appassionanti della letteratura internazionale; Charlotte Gainsbourg rende magistralmente il pudore, la curiosità e l’ardore tipiche del personaggio di Jane Eyre, spesso considerato dalla critica letteraria un romanzo “proto-femminista” proprio per l’indipendenza e la dignità personificati dalla sua protagonista. Due sentimenti che Charlotte non fa certo fatica a comunicare.
3) 21 Grammi (Alejandro Gonzàlez Iñárritu – 2003)
Un Alejandro Iñárritu ancora ben lontano dalla vivacità di Birdman e dall’epopea di Revenant, dirige questo straziante ma bellissimo dramma con Sean Penn, Naomi Watts, Charlotte Gainsbourg e Benicio del Toro.
Il film e le spettacolari interpretazioni del cast sono stati acclamati in USA e all’estero, candidati a molteplici premi, inclusi gli Oscar e in Italia il Nastro d’argento per il miglior Film Straniero.
Come la maggior parte delle collaborazioni della Gainsbourg 30enne, non può che trattarsi di un film non esattamente leggero, ma presenta un “circolo vizioso di sofferenza” che lega vittime e carnefici quasi indistintamente.
La tematica è parzialmente affine a quella di Ritorno alla Vita di Wim Wenders (più in basso in questa lista). 21 grammi non si limiti a mostrare l’interiorizzazione di un evento traumatico, bensì le conseguenze, il rapporto di causa-effetto che si innesca da un evento tragico su cui l’uomo tenta “invano” di intervenire.
La morte – citata indirettamente nel titolo stesso – è l’indiscussa aurea nera che circonda le vicende, presentate con un particolare stile di flash-backs e flash-forward, quasi come se andasse “ricomposta”, un po’ come i personaggi stessi.
La Gainsbourg interpreta la moglie di Sean Penn, un malato di cuore in attesa di un trapianto che probabilmente non arriverà e che si innamora di Naomi Watts in circostanze morbose.
Un film con una sceneggiatura interessante e un ritmo apatico e febbrile al tempo stesso, che ben riflette le anime tormentate dei personaggi e si conclude (per fortuna) con una prospettiva flebile ma certamente positiva che ci vuole insegnare che tutto passa, migliora.
4) L’arte del sogno (Michel Gondry – 2006)
L’arte del sogno esce subito dopo l’enorme successo ottenuto da Michel Gondry con Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Il regista francese torna al cinema con un film molto personale, continuamente in bilico fra realtà e sogno e visivamente molto originale.
Il protagonista, Stephane, è un ragazzo timido e introverso, che vive un rapporto di subalternità coi suoi sogni, tanto da non riuscire a distinguerli dalla realtà. Dopo la morte del padre, torna a Parigi per stare con la madre e si innamora della ragazza che abita alla porta accanto, Stephanie. Il rapporto tra i due è tormentato e complicato dalla confusione mentale del protagonista.
Il film di Gondry si reinventa continuamente dal punto di vista visivo, grazie a scenografie dinamiche, blue screen e sequenze in stop motion, che lo rendono un vulcano dall’inaspettata eruzione.
A reggere il film ci pensano i due protagonisti, Gael García Bernal e la Gainsbourg, che, contrariamente a molte delle sue interpretazioni precedenti (e successive) si pone più sulle righe, con lo sguardo perso nel mondo dell’immaginazione, quasi (non a caso) sognante.
Un film da scoprire non solo per l’interpretazione della Gainsbourg ma anche per conoscere meglio un regista troppo spesso relegato al suo film di grande successo.
5) Antichrist (Lars Von Trier – 2009)
Arriva la prima collaborazione con il controverso regista danese. Antichrist è la prima prova di Charlotte Gainsbourg all’interno dei confini pseudo-onirici e tormentati di Lars Von Trier.
L’attrice viene da un periodo non facile: nel 2007 era stata ricoverata in ospedale per un emorragia al cervello, e aveva subito un’operazione che l’aveva tenuta 2 anni lontana dagli schermi. Fa il suo ritorno in grande stile, con un film che attira moltissimo l’attenzione, dal titolo al contenuto.
Al fianco di Willem Dafoe, che ritroverà anche in Nymphomaniac, Charlotte interpreta una donna che, insieme al marito, deve affrontare l’esperienza traumatica della morte di un figlio. Il marito, psicoterapeuta, la incoraggia a ritirarsi con lui in un bosco per cercare di farle superare le sue paure ormai sempre più pervasive.
Trame di questo genere o comunque con elementi narrativi simili non mancano nella carriera della Gainsbourg, ma a differenza di altre storie il film di Lars Von Trier è tutto interiore. Un viaggio erotico ma anche horror in cerca e allo stesso tempo in fuga dai propri demoni, che squarcia l’animo dello spettatore come quelle dei personaggi, che guidati e avvolti dalla sua regia complessa arrivano a momenti di intensità irripetibili.
Antichrist non fa eccezione.Come tutti i prodotti di Lars Von Trier non è solo un film, ma un’esperienza fortissima per cui si è raramente preparati, da dosare e gustare nel momento e nella serata giusta.
6) Melancholia (Lars Von Trier – 2011)
Forse il film di Lars Von Trier più noto al grande pubblico, Melancholia è un film ipnotico e unico nel suo genere, difficile da raccontare e da guardare con un approccio “immersivo”, calandosi nell’immaginario del regista.
Nel cast, oltre alla Gainsbourg, spiccano Kirsten Dunst, Alexander Skarsgård e Kiefer Sutherland.
La storia segue in ordine frammentario le vicende di Justine (Dunst) neo-sposa ma già intrappolata all’interno di una vita inspiegabilmente infelice e sua sorella Claire (Gainsbourg).
Le due sorelle, con un rapporto intimo ma a tratti conflittuale, cominciano a notare delle anomalie nella loro vita di tutti i giorni, e fin da subito le attribuiscono ad un fenomeno astronomico e ai movimenti delle stelle, a cui le due protagoniste sono particolarmente attente. In effetti, come scopriranno presto, il pianeta Melancholia ha infatti modificato la sua orbita e si avvicina alla Terra…
Dopo la visione di questo incredibile film dalla fotografia eccezionale sono molti i sentimenti e le sensazioni da processare; resta tuttavia l’indiscutibile bravura delle due attrici principali, perfette nei loro diversi diversi ma ugalmente complessi, che come due stelle polari si fanno punti di riferimento per lo spettatore ipnotizzato e – come sempre con Von Trier – a dir poco disorientato.
7) Nymphomaniac vol I e II (Lars Von Trier – 2013)
Dopo due anni puntuali dall’ultima collaborazione, la Gainsbourg torna indiscussa protagonista di questa “mini saga dell’erotismo” di Lars Von Trier. Nymphomaniac, senza tralasciare l’elemento di inquietudine, sempre presente, punta stavolta a pieno sul tema della sessualità morbosa, in tutte – ma proprio tutte – le sue sfaccettature.
Joe, una ragazza la cui vita è stata segnata dal sesso e dall’erotismo eccessivo, viene trovata svenuta in un vicolo da un pensionato locale (interpretato da un bravissimo StellanSkarsgård). La donna, debole ma in ripresa, comincia a raccontare la storia della sua strana e particolare vita, cominciando dall’inizio: l’infanzia, e il momento della scoperta del sesso.
La famosa locandina del film mostra anche le altre star hollywodiane che hanno partecipato al film, tra cui Uma Thurman, Shia La Beouf, Willem Dafeoe, Christian Slater e Patricia Arquette, tutti ritratti nel momento dell’apice sessuale: è già in un certo senso “disturbante”.
Nymphomaniac (anche scritto Nymph()maniac) si sviluppa in otto capitoli divisi in due volumi, usciti a distanza di qualche mese l’uno dall’altro, che hanno generato un hype notevole tra i fan più sfegatati del regista.
Come le altre opere di Lars Von Trier, i due volumi di Nymphomaniac non sono film per chi cerca leggerezza, ma piuttosto per chi vuole provare un’esperienza cinematografica diversa, esplorando senza mezzi termini dei temi taboo, “sotterrati” nella società moderna, che tuttavia ne influenzano le dinamiche in maniera dominante.
Nymphomaniac mette a nudo, in tutti i sensi, le perversioni più segrete e scandalose dell’essere umano. E come al solito con Lars Von Trier è impossibile prepararsi a quel che si vedrà; non c’è modo di prendere il timone, perché lo tiene sempre lui.
8) Ritorno alla vita (Wim Wenders – 2015)
Wim Wenders dirige James Franco, Charlotte Gainsbourg e Rachel McAdams in un film sul trauma e il senso di colpa.
Nel gelido inverno canadese, vicino al lago di Ontario, lo scrittore Tomas Elden ha un incidente d’auto in cui crede di aver investito un bambino, Christopher, che vede tuttavia illeso e riporta sollevato alla mamma, l’illustratrice Kate (Gainsbourg). Sarà proprio lei, straziata, a svelare l’agghiacciante particolare che cambierà la vita dello scrittore.
Ritorno alla Vita (Everything will be alright in originale), dove la regia unica di Wenders è sempre inevitabile protagonista, ci mostra un James Franco forse un po’ meno credibile rispetto ad altri ruoli, e una Gainsbourg ancora più matura, sempre di poche parole ma ad alto impatto emotivo, nei panni di una madre che cerca di “tenere insieme i pezzi”, soprattutto i suoi, in seguito ad una tragedia familiare.
Pur trattando tematiche piuttosto serie, il film si lascia guardare senza necessariamente caricare sull’angoscia. Si parla spesso delle vittime degli incidenti, ma quasi mai dei carnefici, spesso colpevoli solo di essersi trovati nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Tra le due parti si crea sempre un legame indissolubile, con cui fare dolorosamente i conti.
Lungi dal prendere una qualsiasi posizione su questo tema che, per fortuna, nemmeno la richiede, il film dipinge malinconicamente un ritratto verosimile del “dopo”, lo spazio e il tempo in cui tutti devono guarire dal trauma e, appunto, ritornare alla vita.