Donkey Kong Country | Recensione del mitico gioco degli anni ’90

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C’è chi ha imprecato fino allo sfinimento con Donkey Kong Country, e c’è chi mente

Donkey Kong deve attendere un bel po’ per il suo momento alla ribalta. Il personaggio compare per la prima volta come antagonista del gioco che paradossalmente porta il suo nome nel 1981. Ma è solo nel 1994 che i ruoli si ribalteranno e lo scimmione (o meglio, suo nipote) diverrà “buono”.

Non solo: la nuova saga di giochi, prodotta dalla casa Rare per Nintendo, colloca il King Kong dei videogiochi (di fatto, l’ispirazione è quella) in un mondo tutto suo, con amici, comprimari e una risma di coccodrilli antropomorfi, i Kremlings come nemici.

Il risultato è un gioco platform 2D che non rivaleggia esattamente con quelli della contemporanea saga popolare di Mario. Le differenze di setting e di gamplay ci sono e si fanno notare. Tanto per cominciare, Donkey Kong Country è ambientato interamente su di un isola tropicale.

I coccodrilli nemici, a partire dal capo King K. Rool, un pirata, simboleggiano assieme ad altri animali nocivi l’invadenza della civiltà in un ambiente incontaminato. Man mano che procede nella sua avventura Kong si trova a contatto infatti con ambienti sempre più artificiali e inquinati.

Dalla solitudine disturbata della giungla all’ambiente della fabbrica, passando per miniere e antiche rovine infestate da coccodrilli di ogni stampo, il cui scopo non è chiaro ma che ovviamente appaiono estranei al contesto.

Una scimmia, tante scimmie, e un universo di livelli da esplorare: Donkey Kong è questo e anche di più

Già nelle mappe dei vari “mondi” possiamo scorgere segni di inviciltà e sporcizia. Mentre i boss di fine mondo, regolari animali ma di dimensioni smisurate, ricordano le mutazioni genetiche e la paura delle scorie nucleari.

La missione, quindi: recuperare l’enorme quantità di banane (simbolo di nutrimento, si badi bene, naturale e vitaminico) dall’orda di coccodrilli. Kong e Diddy, introdotto in questo gioco, viaggiano quindi letteralmente per mari e monti, tra ostacoli e percorsi difficilissimi.

Ciò che si ricorda infatti in particolare del gioco e dei suoi sequel è proprio la notevole difficoltà, dovuta anche alla carenza di punti di salvataggio e alla scarsità di hit points (basta venir colpiti una volta). E tutti ricorderanno il boss finale che torna in battaglia DOPO i titoli di coda.

L’impatto del gioco è comunque notevole e il design decisamente più realistico rispetto a quello della saga di Mario conquista tutti. Fanno la loro parte anche le musiche, tra il tribale e l’etnico, e la fusione con i motivi “cool” anni ‘90 (basta guardare il personaggio di Funky Kong).

Nonostante la difficoltà, una intera generazione si è impegnata per terminare il gioco con successo, sforzandosi anche di raccogliere in ogni livello le fatidiche quattro lettere K-O-N-G. Per l’epoca, un’impresa non da poco.

Logo Nintendo Switch

Donkey Kong Country | Testato su Switch

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RECENSIONE
VOTO
8.7
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Andrea Campana
Scrivo di musica, cultura, arte, spettacolo e cinema. Ho pubblicato su SentireAscoltare, OndaRock, Cinergie, Digressioni, Radio Càos, Rock and Metal in My Blood.
donkey-kong-country-recensione-giocoUn titolo dalla difficoltà elevata che però è riuscito a ritagliarsi una folta schiera di fan. Se infatti Donkey Kong non era una novità nel mondo dei videogiochi, fu proprio con questo capitolo che riuscì a imporsi e diventare un'icona. La grafica più realistica e il gameplay decisamente particolare riescono a rendere questo gioco raramente unico nel panorama del tempo.