4) Piano… piano, dolce Carlotta – Robert Aldrich (1964)
Quando il ricco Sam Hollis (Victor Buono) scopre della relazione extraconiugale di John Mayhew (Bruce Dern) con sua figlia Carlotta, intima all’uomo di dimenticarsi di lei. John, spaventato, esegue l’ordine di Sam, lasciando Carlotta durante una festa, ma la stessa sera viene orribilmente assassinato. Per la donna, sospettata dell’omicidio, ha inizio un terribile incubo…
Piano… piano, dolce Carlotta è sicuramente uno dei film più sconcertanti di sempre. I temi principali del film sono l’odio e l’avidità, addirittura calati in contesto famigliare. Assistiamo, in particolare, al misterioso rapporto tra Charlotte e la cugina Miriam (Olivia de Havilland), che avrà degli sviluppi inaspettati.
Bette Davis e Olivia de Havilland recitano in maniera impeccabile, la prima abbondando di espressività e la seconda di freddezza. Ma è anche da ricordare Agnes Moorehead, nel ruolo della bisbetica Velma, nonché unica a ricevere la nomination all’Oscar (altre 6 al comparto tecnico).
Le atmosfere del film sono inquietanti, non danno alcuna tregua allo spettatore, rendendo a tratti insostenibile la violenza del film. Infatti, l’opera è caratterizzata da alcune scene splatter che risultano macabre e spiazzanti, considerando che il film è, ricordiamo, del 1964. Ma dobbiamo anche ricordare la fotografia di Joseph Biroc, altra nomination all’Oscar. I giochi di luci e ombre che si stagliano nel bianco e nero sanno perfettamente evocare le luci e, soprattutto, le ombre dei personaggi.
La costruzione dell’immagine, infine, è studiata nei minimi particolari e rende il film lodevole anche da un punto di vista visivo. Ma, del resto, cosa aspettarsi da Robert Aldrich, che con Che fine ha fatto Baby Jane? (1962) già dimostrò al mondo la stessa eleganza? A proposito, Piano… piano, dolce Carlotta avrebbe dovuto essere un seguito di quel film, ma poi assunse vita propria.
5) Matrimonio all’italiana – Vittorio De Sica (1964)
Il ricco donnaiolo Domenico Soriano (Marcello Mastroianni) sta per sposare la giovanissima cassiera della sua pasticceria. L’uomo, però, era precedentemente legato sentimentalmente all’ex-prostituta Filumena Marturano (Sofia Loren), condividendo con lei una controversa relazione. Quando la donna viene a sapere dell’imminente matrimonio, finge di essere in punto di morte…
Matrimonio all’italiana è tratto dalla commedia Filumena Marturano del grande Eduardo de Filippo, edulcorandone però i contenuti. La presenza della coppia Loren-Mastroianni garantì sicuramente il successo commerciale della pellicola, ma indubbi sono i meriti anche di regia e sceneggiatura.
Vittorio De Sica e il fotografo Roberto Gerardi costruiscono sapientemente le geometrie, sia negli interni che negli esterni. Anche le posizioni degli attori e le loro azioni risultano ben coreografate, soprattutto in scene corali e agli specchi. Inoltre, i principali movimenti di macchina, carrellate e panoramiche, sottolineano il frenetico intreccio che caratterizza le vicende.
Il film mantiene la forte condanna alla società patriarcale e opportunista, tipica chiaramente non solo di Napoli, ma dell’Italia intera. Domenico, geloso dei propri interessi, tratta le donne come mero oggetto sessuale, ingannandole senza pietà. Essendo lui ricco e Filomena una prostituta, egli si rifiuta di sposarla, nonostante le mille promesse. Ciò scatenerà un desiderio di vendetta e gelosia nella donna e il film diventa una catena di inganni senza fine.
Le interpretazioni di Marcello Mastroianni e Sofia Loren sono indimenticabili. Il primo rende alla perfezione un personaggio senza scrupoli e grottesco nel suo patriarcato. La seconda, invece, passa da un aspetto sensuale e composto a uno consumato e sbattuto con una naturalezza unica, tanto da guadagnarsi una nomination all’Oscar.
6) Il deserto rosso – Michelangelo Antonioni (1964)
Giuliana (Monica Vitti) è una donna in preda a forti crisi depressive, in quanto si sente alienata dalla società che la circonda. L’amico del marito, l’ingegnere Corrado (Richard Harris) sembra l’unica persona in grado di penetrare il muro che circonda la donna. Tra di loro, infatti, inizia un’intensa relazione di complicità basata su gesti e sguardi d’intesa.
Il deserto rosso riprende il tema dell’alienazione già toccato in Il grido (1957) e affrontato ulteriormente in L’avventura (1961). Il profondo stato di insofferenza in cui versa Giuliana si lega anche a un altro tema caro al regista, ossia l’incomunicabilità. Entrambi i temi sono simboleggiati dalla scena del dialogo tra la protagonista e il marinaio straniero, con cui è impossibile per lei comunicare. La nave, inoltre, mezzo ricorrente nel film, simboleggia il tentativo di fuga dal tedio, proprio anche di Corrado.
Non era, invece, negli intenti del regista la critica all’industrializzazione, nonostante i rumori, la musica elettronica e simboli come il robot del bambino sembrino suggerirlo. Antonioni ha dichiarato di aver dedicato il suo primo film a colori allo studio della natura poetica e artistica del mondo, posizionandovi anche le fabbriche.
Per capire ciò è necessario ricordare che Antonio è sempre interessato allo studio delle geometrie, soprattutto dei palazzi, che diventano quasi co-protagonisti. Quindi, le rumorose e dinamiche fabbriche, sono in realtà qui un contrasto alla staticità della vita umana, divenuta ormai apatica e alienata.
Allo studio geometrico si abbinano movimenti di macchina perfetti, soprattutto le panoramiche che ben evidenziano le impetuose crisi di Giuliana, interpretata magistralmente da Monica Vitti. La sua prova attoriale, oltre a dipingere alla perfezione il personaggio e ad assurgere ad opera d’arte sui coloratissimi sfondi, è di sicuro tra le migliori mai viste al cinema.
7) Il Vangelo secondo Matteo – Pier Paolo Pasolini (1964)
A partire dall’annunciazione dell’Arcangelo Gabriele sino alla Risurrezione, il film ripercorre fedelmente la vita di Gesù Cristo. Ma il punto di vista è di un regista laico. In quanto tale, Pasolini si focalizza sulla natura umanadella figura del Cristo, discostandosi dalla rappresentazione che ne fece in Ro.Go.Pa.G. (1963).
Durante le riprese di Il Vangelo secondo Matteo, Pasolini ha dichiarato di avere in mente Lenin, mostrando espliciti riferimenti anche a Gramsci. I due politici sono simboleggiati proprio dalla figura del Cristo, un sottoproletario che si pone a capo di una rivoluzione. Alcune frasi desunte dall’evangelista, come “non sono venuto a metter pace, ma spada.”, avvalorano la tesi. Il risultato della “lotta” è destinata a ricompensare il popolo con il Regno di Dio, emblema di un governo comunista.
Contrariamente a kolossal come Il re dei re (1961) o I dieci comandamenti (1956), il film di Pasolini rappresenta realisticamente la miseria. Risultano comparse prese dalla strada, primi piani a contadini con il volto consumato, costumi per nulla sfarzosi e ambientazione nell’Italia centro-meridionale. Le riprese vennero principalmente effettuate a Matera, in Basilicata, città rimasta incontaminata dal passare del tempo.
Il Cristo, interpretato dallo studente spagnolo Enrique Irazoqui, ha la voce di Enrico Maria Salerno, che già doppiava Clint Eastwood per Sergio Leone. Nel cast figurano molti intellettuali, da Natalia Ginzburg (Maria di Betania) a Enzo Siciliano (Simone detto “lo Zelota”).
Ma è impossibile non riguardare lo sguardo ipnotico della sedicenne Margherita Caruso, interprete di Maria da giovane, in apertura del film. La ragazza, per quanto presa dalla strada, ha saputo con i soli occhi interpretare la sofferenza di una madre già consapevole del destino del figlio che ha in grembo.