Vittorio Storaro è un orgoglio italiano che ha lavorato in tutto il mondo, conquistandolo con il suo stile inconfondibile. Nato a Roma il 24 giugno 1940, a 11 inizia a studiare fotografia, passando poi per il prestigioso Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma.
Inizialmente Vittorio Storaro divide il suo ruolo tra direttore della fotografia e operatore di macchina. Quest’ultimo ruolo è stato ricoperto soprattutto in una gemma dimenticata del cinema italiano, ossia il controverso e censurato Il giardino delle delizie (Silvano Agosti, 1967).
Nel 1962, Vittorio Storaro esordisce come co-direttore della fotografia nel lungometraggio I normanni, di Giuseppe Vari, mentre in Giovinezza, giovinezza (1969) di Franco Rossi la fotografia è unicamente sua. Ed è lì che iniziò il cammino di Storaro nei più reconditi meandri dell’immagine e della luce.
1) L’uccello dalle piume di cristallo – Dario Argento (1970)
Vittorio Storaro ha prestato il suo talento al maestro del brivido Dario Argento per il suo film d’esordio. L’uccello dalle piume di cristallo è il film che ha portato il giallo all’italiana, genere coniato da Mario Bava, al successo internazionale. Il film tratta le vicende di uno scrittore americano divenuto testimone oculare di un’aggressione che decide di indagare per conto proprio.
Dario Argento ha reso suoi gli insegnamenti dello spaghetti western, in particolare i primi e primissimi piani, i particolari e i dettagli. A ciò si aggiunge la predisposizione, del genere ma anche sua, di evocare la tensione e la paura nello spettatore.
Vittorio Storaro ha saputo interpretare alla perfezione lo stato d’animo del regista, abbondando con tutte le inquadrature già citate e usando sapientemente il colore. Nelle parti di tensione, infatti, la scena risulta in penombra o addirittura quasi totalmente in ombra, mentre quando avvengono gli omicidi i colori esplodono. Aggiungiamo, inoltre, una cifra stilistica di Argento: le soggettive delle vittime che si trasformano in soggettive del carnefice.
Dopo il film TV Strategia del ragno (1970), Vittorio Storaro inizia un lungo e prolifico sodalizio con Bernardo Bertolucci anche al cinema. Il conformista è tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia ed è ambientato quasi interamente alle soglie della Seconda guerra mondiale. Il romanzo narra di un docente di filosofia che, usando come copertura la sua luna di miele a Parigi, deve in realtà uccidere un dissidente del partito fascista nascosto nella capitale francese.
Vittorio Storaro, in virtù dell’ambientazione del romanzo, usa spesso cupi filtri blu e ambienta gran parte delle vicende in penombra. La mancanza di luce deriva dall’imminenza della guerra e dall’attività sotterranea del partito fascista, da cui nessuno può scappare. Il direttore della fotografia, inoltre, pondera meticolosamente le geometrie degli spazi, dando un taglio quasi teatrale alle vicende.
Dopo un thriller politico televisivo, Vittorio Storaro e Bernardo Bertolucci restano nel fascismo ma si soffermano sulla crisi esistenziale dei personaggi. Il risultato è, infatti, un film dalle immagini poetiche ed evocative, raggiungendo picchi di ipnotismo capaci di influenzare diversi registi a venire.
3) Giornata nera per l’ariete – Luigi Bazzoni (1971)
Vittorio Storaro si è dedicato anche al cinema di genere, come dimostra la sua collaborazione con uno dei maggiori esempi di giallo all’italiana. Il film segue la storia di un giornalista duro e alcolizzato nella sua indagine per sventare cinque omicidi annunciati.
Il direttore della fotografia continua il suo studio geometrico degli spazi, abbondando con i campi lunghi. Adattandosi al genere di riferimento, realizza dettagli, particolari anche macabri durante gli omicidi e, soprattutto carrellate cariche di tensione. Inoltre, Storaro gioca molto con i riflessi e i colori, come dimostra il rosso del telefono con cui è annunciata la prima vittima.
4) Ultimo tango a Parigi – Bernardo Bertolucci (1972)
Vittorio Storaro torna a collaborare con Bernardo Bertolucci per fotografare uno dei film più controversi di tutti i tempi. Dopo il suicidio della moglie, un americano di mezza età, vagabondando per Parigi, incontra una ventenne. Tra i due inizia una morbosa relazione sentimentale.
La fotografia torna a essere poetica e introspettiva per investigare a fondo la psiche dei due amanti. Storaro, però, studia approfonditamente anche gli spazi, perché è Parigi ad aver reso possibile la relazione amorosa. Risultano, quindi, composizioni sceniche fortemente influenzate da pareti vetrate, mobili, scale e altri elementi scenografici.
Le vicende si svolgono in ambiente cupo, freddo e nuvoloso, mentre la parte più intima della relazione si consuma in ombra o in penombra. Nei momenti raccapriccianti, come la famosa scena del burro, la fotografia di Storaro riesce sempre a mantenere il tenore poetico del film. Chiaramente, però, va riconosciuta a Bertolucci una regia, come sempre, impeccabile.