Vola – Witness [RECENSIONE]

Vola Witness
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Se la parentesi tra 2010 e 2019, per il progressive metal, è stata sostanzialmente un’oasi “dorata”, di certo con il finire della decade si sono cominciati a sentire i primi scricchiolii di un genere a corto di idee e, soprattutto, alla frenetica ricerca di nuove “spiagge” a cui affidarsi.

Da questo punto di vista i giovanissimi Vola sono senza ombra di dubbio, nel panorama europeo e non, una garanzia di “futuribilità del genere”. Una futuribilità fresca, nuova, simbolo di un progressive di diversa fattura e che in Witness, ultimo album della band Danese, trova un esempio da “manifesto culturale”.

Witness – il futuro del progressive metal

Band ancora estremamente di nicchia e ben lontana dalla risonanza mediatica che meriterebbe (con degli streaming barostato di quell’ascensore sociale musicale che ormai, anche per colpa di essi, è a dir poco immobile) e che forse, con Witness, se non il successo troverà la sua consacrazione musicale.

Simbolo di quella nuova onda di artisti progressive ormai liberi dalle necessita di imitare ed inseguire i barocchismi dei grandi e quei virtuosismi che, nel primo troncone dei duemila, sono stati un poco il marchio del genere, i Vola “fluttuano” liberi nell’esposizione di un prog semplice, fresco ed efficace.

Un prog fatto di essenzialità e di ricerche sonore ancor prima che di astruse manipolazioni strumentali e virtuosismi. Un operare maturo e che, ben conscio delle lezioni del passato, prende il sincretismo tipico progressivo e il massiccio sound del metal contemporaneo giungendo ad un prodotto che da tutti i pori emana la parola futuro.

I nove pezzi di Witness sono letteralmente un saggio di occasioni, spunti e opportunità. Nove tracce che, radicalmente differenti tra loro, trovano nell’approccio agli arrangiamenti ed i suoni il solo filo di Arianna capace di dare vita ad un prodotto coeso nonostante la sua essenza variegata.

I quarantaquattro minuti di riproduzione architettati dalla band danese ci restituiscono un assortimento di pezzi multicolore e capaci di spaziare nelle più differenti ambientazioni. Il tutto con un possente utilizzo dell’elettronica a fare da contraltare ai massicci impieghi chitarristici tipici del metal del ventennio corrente.

Il sincretismo dei Vola

E’ facile, così, ritrovarsi prima di fronte al sapore metallico e sanguigno di pezzi duri e ricchi di groove come Head Mounted Sideways e Stone Leader Falling Down, due emblemi di quel progmetal più “harsh” (ma ora più maturo) che ha rappresentato gli esordi della band con Inmazes

Una durezza disposta a sciogliersi non solo nei corali, aperti e melodici ritornelli tipici della band ma soprattutto di fronte alle dolcezze di composizioni che non esitano a “mordersi la lingua” per la delicatezza come nel caso del “Porcupine Tree vibe” della semi acustica Freak o dell’elettronico ed atmosferico crescendo di 24 Light-Years.

Straight Lines, uno dei fiori all’occhiello dell’album, è il miscellaneo perfetto tra la natura più “dura e cruda” della band e la necessaria ricerca di melodie fascinose e trascinanti al tempo stesso, in un alternarsi tra corpose distorsioni e corali aperture a preponderanza pop.

Se con These Black Claws si cade nello sperimentalismo di un pezzo dal sapore tremendamente Dark e che ha i meriti di portare, ancora una volta, in grande spolvero il grande connubio tra rap e metal, con il trio formato da Napalm, Future Bird e Inside your Fure troviamo il perfetto completamento dell’album.

Pezzi che a un primo ascolto potrebbero sembrare dei filler, questi ultimi si ritrovano ad essere il cuore sincretico dei due volti dei Vola di Witness.

Lavori, questi, perfettamente bilanciati grazie a quei suoni metallici utili a costruire “massa e possanza” che, senza strafare in eccessi di riffing e durezze, restano utili per esaltare quell’impatto emotivo portato dall’approccio più melodico e “user friendly” della nuova wave progmetal. Il tutto culminando in un esplosioni di colori e sensazioni.

L’album della maturazione

Con Witness i Vola non solo ci presentano un album maturo, capace di fondere in modo coerente le fascinose e folli (ma acerbe) sonorità di Inmazes con le ricerche più pop oriented di Applause From a Distant Crowd, ma soprattutto ci offrono uno spaccato del nuovo prog.

Quel nuovo approccio che, in qualche modo anche se con sfumature diverse, è sato già accolto a braccia aperte da band del calibro dei Leprous o dei ben più giovani Caligula’s Horse e che tende sempre più allo sganciarsi da zavorranti virtuosismi fini a se stessi per vergere verso una raffinata e funzionale accessibilità.

Un lavoro questo che, anche facendo probabilmente molto meno successo, condividerà con l’esplosiva ultima pubblicazione degli Architects, For Those Who Wish to Exist, la corona di miglior album metal dell’anno e, forse, dei migliori del decennio.