Takashi Miike: 10 film per conoscerlo [LISTA]

L'eccentrico e unico stile di Takashi Miike ha saputo conquistare il mondo intero. Facciamo la sua conoscenza attraverso 10 film importanti.

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Visitor Q (2001)

Visitor Q - Takashi Miike

La famiglia Yamazaki versa in una condizione fortemente drammatica, in quanto i rapporti tra i suoi membri sono ormai deteriorati o addirittura squallidi. L’intrusione di un visitatore (Kazushi Watanabe) nei disquilibri della famiglia porterà un cambiamento radicale nella sua gerarchia, cambiando la vita di tutti.

Visitor Q presenta un soggetto simile a Teorema di Pier Paolo Pasolini (1968), di cui conserva anche la potenza dissacrante. Infatti, siamo di fronte al film più provocatorio di Takashi Miike, che porta avanti la sua compassionevole crociata contro le depravazioni umane.

Il padre di famiglia, Kiyoshi (Kenichi Endo), è un giornalista emarginato per un servizio che lo ha messo in ridicolo. Egli, ossessionato dal bullismo e dalla sessualità tra i giovani, è disposto a tutto pur di tornare alla ribalta. Arriva addirittura a filmare il figlio umiliato dai compagni di liceo e i rapporti sessuali che intrattenuti con la figlia prostituta.

I due figli sono Takuya (Jun Mutô, il maschio) e Miki (Fujiko, la femmina). Il primo sfoga la sua frustrazione sull’inerme madre (Shungiku Uchida), mentre la seconda ha deciso di andarsene di casa e, per pagarsi da vivere, appunto, si prostituisce. A ciò è costretta anche Keiko, la madre, per procurarsi la droga che l’aiuta a fuggire dai soprusi di Takuya.

Il visitatore, invece, ufficialmente invitato a casa dal padre, che lo presenta come un amico, in realtà si intromette misteriosamente per conto proprio. Il primo incontro tra i due è infelice: lo sconosciuto colpisce Kiyoshi alla testa con un pesante sasso, abbandonandolo privo di sensi. Compirà lo stesso gesto con un altro membro della famiglia che fatica ad aprire gli occhi.

Con la madre e il figlio, invece, si mostra perlopiù affettuoso dopo un’iniziale indifferenza. Fatto sta che la sua figura da pacificatore innesca importanti cambiamenti in tutta la famiglia, aprendo le porte alla parte più dissacrante del film. La pragmatica autoaffermazione degli altri quattro personaggi, infatti, segue una scia di ingiustificata violenza e depravazione. Lo spettatore, inerme, non sa bene se scandalizzarsi o provare compiacimento per loro.

Visitor Q è il sesto capitolo della serie di film “Love Cinema”, che vede 6 cineasti alle prese con un film a basso costo ciascuno per l’home video, fatta salva una limitata proiezione al solo minuscolo cinema di Shimokitazawa (stazione di Tokyo). I 6 titoli intendono sfruttare le potenzialità del digitale, come il maggior dinamismo e la possibilità di impiegare luci naturali in modo ottimale, riducendo i costi dell’analogico.

Gozu (2003)

Quando Ozaki (Show Aikawa) inizia a dare segni di squilibrio mentale, il boss della famiglia (Renji Ishibashi) chiede al collega Minami (Hideki Sone) di sbarazzarsene alla discarica. Minami, che ha sviluppato un forte legame con Ozaki dopo che questi gli ha salvato la vita in passato, cerca di prendere tempo durante il viaggio; tuttavia, durante la sosta a un bar, Ozaki scompare misteriosamente…

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Takashi Miike torna a collaborare con la grottesca penna di Sakichi Satō per portare in scena uno yakuza movie ai limiti dell’assurdo, sconfinando nel mondo dell’inconscio. La ricerca di Ozaki, infatti, è disseminata di bizzarri personaggi che sembrano più simboliche rappresentazioni delle incertezze, dei macigni psicologici e delle paure di Minami.

Dopo il bar, il protagonista incontra un uomo affetto da depigmentazione, ossia decolorazione e desquamazione della pelle, a metà volto. La sua metaforica rappresentazione allude al tema del doppio, già caro a registi come Lynch e Bergman. Doppio è il livello di lettura del film, letterale/analogico, ma anche il rapporto guida/discepolo, ovvero Minami e Ozaki, il quale è sdoppiato ulteriormente verso il finale del film.

Il terzo incontro avviene in una locanda, gestita da una signora e suo fratello minore. L’ossessione della donna per i propri seni, che ancora producono latte, scopre il secondo importante tema del film, un altro “doppio”: sessualità-maternità.

La dicotomia è confermata da due episodi: l’onirica scena dell’allattamento del fratello da parte della donna e la scena in cui Minami sperimenta la sua sessualità con una donna (Kimika Yoshino) che appare alla fine del film, ma di cui non sveleremo l’identità. Aggiungiamo, inoltre, una massiccia presenza di latte, consumato da comparse anche in bottiglia o bicchiere.

Durante un sogno del protagonista, la soluzione dell’enigma che sta vivendo Minami sarà consegnata proprio dal “Gozu“, traducibile con “testa di bue”. Nonostante sia una figura folkloristica giapponese legata a una leggenda metropolitana, in realtà esso nel film è decontestualizzato e accostato più al “Minotauro“, che si trova al centro dell’intricato labirinto di Cnosso.

Stilisticamente, la prevalenza della camera fissa conferisce a Gozu un’impronta teatrale, come dimostrano nei contenuti anche le citazioni all’Antica Grecia (come Edipo e il Minotauro). Alcune inquadrature distorte, come quella di Minami che vomita nel bagno del bar, l’uso della camera a mano e le panoramiche servono per suscitare spaesamento e raccapriccio nello spettatore.

Infine, nonostante sia stato girato per il V-Cinema (home video), Gozu non risente quasi per nulla del ridotto budget a disposizione. Anzi, il successo ottenuto al Festival di Cannes permise la distribuzione del film nelle sale cinematografiche.

IZO (2004)

Il samurai Izō (Kazuya Nakayama) viene crocifisso e ucciso, ma il suo spirito è costretto a vagare per un motivo ignoto sulla Terra. Accompagnato dalle strofe del bardo Kazuki Tomokawa (se stesso), l’entità miete la sua inspiegabile vendetta nei confronti dell’umanità intera.

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L’opera, sceneggiata da Shigenori Takechi, è la più anarchica e sperimentale di Takashi Miike, che dà libero sfogo al suo genio visionario. La narrazione è, infatti, inframmezzata da numerosi filmati in bianco e nero, scene surreali ed estemporanee. Ma andiamo con ordine.

Innanzitutto, IZO si apre con alcune immagini di fecondazione umana, la crocifissione del protagonista e, subito dopo, filmati di repertorio principalmente a tema bellico. Quindi parte l’ingiustificata vendetta del samurai contro l’umanità. L’incipit anticipa il messaggio del film: la vita nasce da semi di odio, rancore e violenza, i tre tratti che caratterizzano l’efferata natura umana.

La crocifissione di Izo, ucciso con colpi di lancia al costato, e la sua successiva resurrezione intendono capovolgere la lettura biblica della figura del Cristo. Se, infatti, questi risorge dopo tre giorni per salvare l’umanità, il samurai torna in vita per annientarla. E’ quindi evidente un forte nichilismo, unito a una disillusione totale per il genere umano.

Tale sentimento è enfatizzato nelle scene immediatamente seguenti, in cui Izo si unisce con la madre di tutti i viventi e la uccide quando questa, ormai anziana, rifiuta la sua partenza. La metafora mostra come solo ira e rancore si riproducono senza sosta, andando a caratterizzare intere generazioni.

Il rifiuto verso ogni tipo di regola investe anche il tempo e lo spazio: lo spadaccino affronta samurai e membri della yakuza, cammina sui muri e attraversa le porte, che sembrano liquide. Nella scena del matrimonio, egli addirittura entra nel luogo della festa come se stesse sprofondando in un abisso e le inquadrature vengono capovolte. Nel finale, addirittura, Izo cammina sul nastro di Möbius, caratterizzato da un’unica superficie, che quindi dà al film e al suo messaggio carattere di ciclicità.

Prima di incontrare l’imperatore del Giappone, Izo si imbatte in numerosi personaggi, quasi tutti simboleggianti le derive del capitalismo. In una grotta, due rappresentanti d’azienda gli propongono un affare, ma quando vengono attaccati, essi si trasformano in vampiri e pugnalano ripetutamente il samurai. Il riferimento va agli abusi del capitalismo, che arriva a “succhiare il sangue” delle sue vittime, i più poveri, vivendo sulle loro spalle.

Ma il vero problema sta a monte, nell’istruzione, come appare evidente nella scena in cui il samurai approda in una scuola durante una lezione. L’insegnante chiede a vari alunni il significato di amore, democrazia e nazione. Gli allievi indicano la prima come parola ormai vuota del suo contenuto originario, la seconda come utopia e la terza come etichetta arbitraria dei popoli.