Apriamo con uno dei primi film dell’ormai trentennale carriera dell’eclettico Takashi Miike, che vanta all’attivo oltre 100 film.
Negli angoli più bui e malfamati del quartiere Shinjuku di Tokyo il boss taiwanese della Triade Wang Zhiming (Tomorowo Taguchi) gestisce un traffico di organi umani. Il violento e corrotto agente di polizia Kiriya (Kippei Shiina) si mette sulle sue tracce. Scoprirà che nell’attività illecita è coinvolto anche un suo stretto famigliare…
Shinjuku Triad Society è il primo folgorante capitolo dell’antologica Black Society Trilogy, che prosegue con Rainy Dog (1997) e Ley Lines (1999). Gli elementi comuni sono l’ambientazione degradata, personaggi lontani dal luogo d’origine che faticano a integrarsi nella società e la performance di Tomorowo Taguchi. Inoltre, la co-presenza di Triade e Yakuza tornerà spesso nell’intera filmografia di Miike.
Sebbene la sua filmografia sia estremamente variegata, l’opera può essere intesa come una dichiarazione di poetica da parte del regista. Il tratto dominante nella carriera di Miike è la grande quantità di violenza, spesso estrema, destinata a raggiungere picchi in Imprint (dalla serie Masters of Horror, 2006) e Ichi the Killer (1999).
Oltre agli schizzi di sangue, utilizzati anche da Tarantino e Argento, in Shinjuku Triad Society troviamo infatti anche dettagli splatter, come le teste mozzate a inizio film o l’occhio strappato a una negoziante. Quest’ultima è una citazione di Uomini si nasce poliziotti si muore (Ruggero Deodato, 1976), poi ripresa in Kill Bill: Volume 2 (2004) da Quentin Tarantino, grande amico del regista.
Inoltre, Miike rappresenta spesso nei suoi film l’omosessualità, tabù che già registi come Matsumoto o Oshima hanno cercato di abbattere in Giappone, attribuendola anche ai protagonisti. Forse, in realtà, Takashi Miike si spinge anche più in là, cercando di sdoganare l’idea di “amore libero“, privo di qualsiasi tipo di etichetta. Infatti, accade spesso che i personaggi dei suoi film intrattengano rapporti sentimentali o sessuali con persone sia del sesso opposto sia dello stesso sesso.
Poi, altra cifra stilistica di Takashi Miike è l’irruenza di situazione tragicomiche, ironiche o addirittura trash. In Shinjuku TriadSociety possiamo fare due esempi: uno yakuza che calpesta degli escrementi umani avvolti in un fazzoletto per strada e un personaggio che incide un pene su un tavolo di legno.
Evidente, infine, l’influenza costante di Shōhei Imamura e Seijun Suzuki.
Audition (1999)
Dopo aver perso precocemente la moglie, Shigeharu Aoyama (Ryō Ishibashi) non ha più imboccato la strada dell’amore. Spinto dal figlio Shigeiko (Tetsu Sawaki), l’uomo si rivolge all’amico produttore Yasuhisa Yoshigawa (Jun Kunimura), che gli propone di assistere a un provino che sta per sostenere per una parte femminile. Shigeharu rimane incantato da Asami Yamazaki (Eihi Shiina), una ragazza dal passato ignoto.
Audition è considerato uno dei migliori e più eleganti film di Takashi Miike, nonché una vetta del J-horror, insieme a Ring(Hideo Nakata, 1998) e Ju-on (Takashi Shimizu, 2000). L’opera, tratta dall’omonimo romanzo di Ryū Murakami, oltre a riservarsi di diritto un posto tra i film asiatici più disturbanti di sempre, ha portato il regista alla fama mondiale.
La struttura del film si divide in due parti: la prima è più melodrammatica, mentre la seconda mette alla prova la sensibilità dello spettatore, soprattutto con la famosa scena della tortura. Audition si apre, infatti, come un dramma famigliare, ma sono presenti alcuni elementi di tensione, come un’inquietante bambina all’ascolto della stessa trasmissione radiofonica del protagonista.
Nella seconda parte del film, invece, esplode la violenza, rivelando i due temi principali del film: l’abuso e la vendetta. Asami, infatti, a causa di abusi fisici e sessuali che subiva da piccola, ha sviluppato un odio viscerale nei confronti degli uomini, come dimostrano le condizioni di un prigioniero tenuto in casa sua.
A partire da metà film, inoltre, non è più chiaro cosa Aoyama sogni e cosa viva veramente. Onirica è sicuramente la scena in cui l’uomo presenta Asami alla moglie, che si oppone spaventata al suo matrimonio con la ragazza. Ma gli inquietanti incontri e i raccapriccianti risvolti con la giovane fidanzata sono davvero reali? I continui flashback e flash-forward gettano continui dubbi nello spettatore.
Audition influenzò Noriko’s Dinner Table di Sion Sono (2005) e Hostel di Eli Roth (2005), nel quale Takashi Miike fa anche un cameo. In The Departed (Martin Scorsese, 2006), invece, una televisione ne trasmette una scena verso la metà del film, durante una conversazione tra Matt Damon e la ragazza.
Ichi the Killer (2001)
Un folle killer di nome Ichi (Nao Ōmori) massacra il boss della Yakuza Anjo per conto di alcuni uomini capitanatati da Jijii (Shin’ya Tsukamoto), i quali si recano subito sul posto per rimuovere ogni traccia del crimine. Lo spietato braccio destro di Anjo, il sadomasochista Kakihara (Tadanobu Asano), si mette quindi alla ricerca del boss ed è disposto a tutto pur di ritrovarlo.
Tratto dall’omonimo manga del grande Hideo Yamamoto, Ichi the Killer è considerato, ex aequo con Audition, il capolavoro di Takashi Miike, nonché la summa della sua bizzarra poetica. L’edizione italiana della Dynit lo inserisce nella “trilogia della Yakuza”, affiancandolo agli splendidi Agitator (2001) e Graveyard of Honor (2002).
Il film sancisce la collaborazione del regista con lo sceneggiatore Sakichi Satō, noto in Occidente per il ruolo di Charlie Brown in Kill Bill – Volume 1&2 (2003-2004) di Quentin Tarantino, in cui hanno recitato altri attori di Ichi the Killer. Insieme, con soli due titoli, i due cineasti hanno dato vita a due opere monumentali (l’altra è Gozu, che vedremo dopo).
Ichi the Killer è un film sulla violenza e sulla violenza che essa genera a sua volta, considerando sia chi è in scena sia chi sta fruendo della visione. La violenza fisica include torture, pestaggi e sventramenti; quella psicologica riguarda bullismo, umiliazioni e manipolazioni mentali; infine, quella sessuale include sia stupri sia depravazioni, che coinvolgono anche Ichi e Kakihara.
Nel film sono, inoltre, presenti due concetti importanti, racchiusi in due battute pronunciate proprio dal sadomasochista Kakihara. La prima è: “Ognuno di noi ha una parte sadica e una masochista“. La vita di tutti noi, del resto, è caratterizzata dalla volontà di sentirsi superiori agli altri e, allo stesso tempo, farci logorare dalle attese, o soffrire per amore.
A proposito dell’amore, la seconda battuta è: “Non c’è amore nella tua brutalità“. Takashi Miike ha dedicato gran parte della sua filmografia a studiare i nessi tra amore, sessualità e violenza. In Ichi the Killer è Kakihara a incarnare i tre elementi, rappresentando anche lo spettatore stesso, che invoca a gran voce violenza e sesso per soddisfare ogni sua perversione.
Ma il regista stesso riempie di questi due elementi le sue opere, però in modo diverso. I disturbanti fiumi di sangue del film, infatti, sono fortemente smorzati dal tono grottesco, surreale e fumettistico di Ichi the Killer. Una scena emblematica vede Kakihara mozzarsi la lingua e, come se nulla fosse accaduto, rispondere impacciatamente al cellulare, lasciando tutti attoniti. Per quanto disturbante, la situazione non può che far sorridere per la sua assurdità.
Anche i bizzarri personaggi contribuiscono al tono grottesco del film e sono di vari tipi. Il più comico è il solenne boss che barcolla senza apparente motivo, il più serio risulta l’ex-poliziotto divenuto yakuza per mantenere il figlio. Per quanto siano tutti psicologicamente esaminati, con nessuno di loro è impossibile sviluppare alcun tipo di empatia.