Qual è secondo voi il miglior disco dei Radiohead? Ed il peggiore? Ecco il nostro parere.
Diciamocelo chiaramente: i Radiohead non ne hanno mai sbagliato uno di disco, anche il loro lavoro “peggiore” porta comunque il loro nome e, di conseguenza, la garanzia di qualità . Tuttavia, noi della redazione de LaScimmiaPensa.com ci siamo voluti cimentare ugualmente nell’ardua impresa del classificare l’intera discografia della storica band di Oxford. Perciò, ecco a voi la nostra personalissima top dei nove album, dal peggiore al migliore.
9. Pablo Honey
L’attesissimo primo album della band della hit globale “Creep“, che ha lanciato il gruppo nel mainstream, gettandolo di fatto tra le braccia della Parlophone, risuona di tutte le influenze del primo alternative rock anni ’80, soprattutto britannico, e del grunge d’oltreoceano. Sembra di sentire a tratti i R.E.M. e un Thom Yorke ispiratissimo da Jeff Buckley, ma il risultato è decisamente poco convincente e gli spunti interessanti sono pochi (You, la sopracitata Creep, Blow Out).
Ad oggi il penultimo LP dei Radiohead, per essere arrivato dopo quattro lunghi anni dal capolavoro In Rainbows, The King of Limbs non stupisce affatto. Solamente nove tracce, per una durata complessiva di neanche quaranta minuti. Decisamente migliore la versione live studio From the Basement. Ciononostante, resta una sintesi tangibile del lavoro di sperimentazione elettroacustica degli ultimi dieci anni di carriera del gruppo.
7. The Bends
A due anni dal debutto Pablo Honey, gli ex On A Friday sono maturati molto, anche grazie al celeberrimo produttore inglese John Leckie, che ha lavorato con loro per questo secondo album. Stilisticamente non siamo troppo lontani dal debutto, il cantato di Yorke è più pulito ma anche qui esagera raggiungendo acuti notevoli ma “pericolosi”. Molto più amalgamati gli arrangiamenti e le nuance del mix e del master si fanno sentire, soprattutto nei pezzi meno acustici come la sottovalutata Planet Telex, in apertura, o tra gli abusi di Whammy di My Iron Lung. Certamente una pietra miliare contenente un grande numero di successi commerciali, di un influenza non indifferente ma, a parer nostro, comunque una spanna sotto altri dischi.
6. Amnesiac
Spiritualmente un continuo di Kid A, scritto e registrato nelle stesse sessioni di quest’ultimo ed uscito, peraltro, a pochissimi mesi di distanza, Amnesiac vira verso lidi ancora più sperimentali. Ciò grava leggermente sulla solidità dell’album ma gli conferisce, allo stesso tempo, un sound unico e di certo interessante. I Radiohead, con il “loro George Martin”, Nigel Godrich, osano con un sound-design che gioca su campionamenti stravolti (Pulk/Pull Revolving Doors), riavvolti (Like Spinning Plates), immersi in un angosciante riverbero, presto evidente in Hunting Bears o nella splendida Pyramid Song. Oltre alle trombe di Life In a Glasshouse, si sente anche la chitarra di Jonny Greenwood suonata, però, alla maniera di Jónsi dei Sigur Rós, con un archetto per viola. Sicuramente uno degli album sonicamente più interessanti della band.