Minari | Recensione del film candidato a 6 premi Oscar

Minari è il nuovo film di Lee Isaac Chung, uno struggente family drama che ha conquistato sei candidature agli ultimi Academy Awards.

Minari
Steven Yeun e Alan Kim in Minari
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Minari è il nuovo film di Lee Isaac Chung. Ha conquistato sei candidature agli ultimi Academy Awards, tra i quali quello per miglior film, miglior regista e miglior colonna sonora, trionfando nella categoria miglior attrice non protagonista. L’ambita statuetta è andata a Yoon Yeo-jeong.

Tra gli altri riconoscimenti, vanno menzionati quello per miglior film drammatico al Sundance Festival e il Golden Globe al miglior film straniero. La distribuzione è curata dalla A24. Minari è uscito in sala il 26 aprile 2021.

Trama

Jacob si trasferisce con la moglie e i piccolo David e Anne dalla California all’Arkansas, per iniziare una nuova attività di coltivazione di prodotti tipici coreani. Per sostenere economicamente il suo progetto, lavora in un’azienda classificando pulcini in base al sesso.

La moglie Monica non è certamente contenta di questa nuova vita, fatta di una mansione umiliante e di una vita su una casa a quattro ruote. Il matrimonio traballa, e inizia a precipitare quando l’arrivo della madre di Monica destabilizza il già precario equilibrio della famiglia Yi.

Cast

  • Steven Yeun: Jacob Yi
  • Han Ye-ri: Monica Yi
  • Alan Kim: David Yi
  • Noel Kate Cho: Anne Yi
  • Yoon Yeo-jeong: Soon-ja

Trailer

Minari – Recensione

Minari aveva un compito decisamente ingrato con il quale misurarsi. Replicare il trionfo di Parasite era un’impresa forse impossibile, soprattutto di fronte alla corsa sfrenata di Nomadland, vincitore annunciato sin dall’assolata anteprima veneziana.

Eppure l’attenzione che Hollywood ha riservato al nuovo film di Lee Isaac Chung è il segno inequivocabile di un processo ormai irreversibile. Sono cadute le barriere, e l’olimpo dello star system americano riconosce finalmente la complessità e la bellezza del volto del cinema contemporaneo mondiale.

E il nome dietro la distribuzione di Minari è quello di una casa che sta contribuendo a ridefinire i confini. Con questo film la A24, autorevole voce del cinema indipendente, conferma la sua capacità di riscrivere le regole, sugellando definitivamente l’incontro tra la grande industria e l’underground.

Su Minari quindi si incontrano mondi, spesso lontani, certamente diversi. L’avvenuto incontro tra la grande industria filmica e le tradizioni di un certo cinema orientale riflette poeticamente quello che è lo scontro alla base del film. Minari dipinge un illusorio sogno americano, nel segno di un sincero ma sicuramente beffardo cosmopolitismo, mentre il fantasma delle lontane origini continua a riportare la famiglia Yi alla realtà delle proprie radici.

Scontri generazionali: il racconto di formazione di Minari

Minari
Il piccolo David, interpretato da Alan Kim

Il polo unificatore della vicenda è quindi senza dubbio il personaggio di Soon-ja. Nel dissonante rapporto tra la nonna e il piccolo David c’è tutto il senso di un family drama intriso di sottotesti politici. Il giovane è teso verso un mondo che ha relegato la sua famiglia tra gli ultimi, i diversi. La scena chiave del pranzo in parrocchia ha il merito però di restituire alla curiosità verso l’altro l’aura del fanciullesco, mentre il matrimonio tra Jacob e Monica cade sotto i colpi di un sistema che li umilia continuamente.

Soon-ja è invece portatrice di un’identità culturale, fatta di tradizioni, miti ed idee che diventano parte attiva del dramma. A partire da ciò l’incapacità di David e Soon-ja di riconoscersi nell’amore tra una nonna e suo nipote racconta contemporaneamente l’affetto per la propria storia personale e una sorta di fiducia in un qualche rinnovamento generazionale.

Un senso di ciclicità permea quindi lo sviluppo degli eventi. L’inevitabilmente e melenso pay-off della storia di David e Soon-ja avviene in effetti sulle macerie del fuoco e dell’acqua. Elementi ricorrenti del film, diventano catalizzatori della vicenda ed elevati ad un piano simbolico ancora più elevato. Forze primordiali, latori del lato più spirituale di Minari, emblemi di un eterno avvicendarsi.

La regia indugia su questa dimensione, donando a Minari il ritmo tipico di quella narrazione elegante e meditativa che lo avvicina più ad alcuni autori giapponesi (da Sion Sono a Kore’eda), che ai rappresentanti istituzionali del cinema coreano contemporaneo. Vedutismo e dettagli si alternano sapientemente legati da una fotografia mite, che definisce l’atmosfera lirica del film.

Agli antipodi quindi di Nomadland, altro memorabile incontro ravvicinato di mondi lontani, in cui la fotografia per campi lunghissimi assume la potenza espressiva di una grande storia umana, c’è Minari. Un delicatissimo kammerspiel in cui alla natura viene restituita una dimensione davvero intima, facendosi fondale di una vicenda infusa di una latente malinconia e di grande tenerezza. Un film assolutamente imperdibile in questa stagione di timide riaperture.