Chi di voi ha guardato Bridgerton, la serie di Shonda Rymes rilasciata da Netflix lo scorso dicembre 2020, avrà notato che gli attori non rispettano propriamente i canoni dei personaggi di un’ipotetica Inghilterra dell’800. Molti hanno trovato strano e poco credibile questo tipo di cast rispetto al contesto storico in apparenza ben definito; altri ci hanno persino visto un risultato immorale per la storia delle minoranze in questione. Eppure Bridgerton si appella ad una tendenza già definita e utilizzata in precedenza da altre produzioni, ovvero quella del Color-Blind Casting.
Ad esempio, è Golda Rosheveul, di origini guyane, ad intepretare la regina Carlotta e moglie di re Giorgio. O ancora, Regé-Jean Page, anglo-zimbabwese, è il Duca di Hastings, rampollo della società londinese e al centro della principale vicenda amorosa della storia insieme a Phoebe Dynevor. Oltre a loro, svariati altri personaggi dell’alta-società descritta hanno origini o africane o asiatiche.
Il Color-blind Casting (CBC) è la pratica di selezionare attori e attrici per un determinato ruolo, senza considerarne l’etnia, il colore della pelle, la forma fisica o il genere. Se prendiamo quest’ultimo, ci sono già moltissimi esempi in cui ruoli televisivi siano stati interpretati da persone transgender, senza per forza sottolinearne questo aspetto.
In Bridgerton ce ne accorgiamo di più perché si tratta del colore della pelle, e perché viene subito da pensare che sia un’operazione di politically correct che vuole “mistificare” la storia, che nell’Inghilterra dell’Ottocento vedeva le persone di colore in minoranza e in contesti molto differenti.
Il color-blind casting a teatro
Ma la serie non è che una delle espressioni più recenti del Color-Blind Casting, che va in realtà indietro fino a film storici. Uno dei primi sembra essere addirittura Il dottor Zivago (1965), dove l’egiziano Omar Sharif interpretava il protagonista, di origini russe.
Ma soprattutto, il CBC è una scelta decisamente sdoganata nel mondo del teatro, come spesso capita precursore di policy più inclusive e libere rispetto al resto del mondo dello spettacolo. Negli anni, ad esempio, moltissimi ruoli nelle opere di Shakespeare sono stati affidati indistintamente ad attori bianchi e non-bianchi, riscuotendo un uguale successo.
Di recente ha riscosso parecchio successo la performance di Ruth Negga, irlandese di origine etiope, che interpreta non solo un personaggio storicamente concepito come bianco, ma addirittura un uomo (Amleto stesso), ricevendo il successo della critica.
Altro esempio celebre è il mondo musical. Ad esempio, la parte di Giuda nel film Jesus Christ Superstar (1973) viene interpretata da Carl Anderson, un attore e cantante afro-americano. E ancor più di recente, il famoso musical di Broadway Hamilton (2015)ha rivendicato pubblicamente il proprio color-conscious cast affidando i ruoli dei padri fondatori americani (notoriamente bianchi) ad attori di diverse etnie, in particolare ispanici e afro-americani.
In Hamilton, in particolare, c’è la volontà esplicita di “dare spazio” a diverse minoranze etniche: nel cast originale gli attori bianchi rappresentano l’eccezione piuttosto che la regola. Di certo una presa di posizione politica coraggiosa e culturalmente interessante nell’attuale società statunitense.
Il caso Bridgerton
Se però si traspone questa scelta al cinema o in televisione, e quindi ad un pubblico più ampio, il Color-blind casting fa sorgere maggiori polemiche.
Prima di condannare questa scelta e distaccarsene con scetticismo sono tuttavia d’obbligo alcune riflessioni. Non si può negare, ad esempio, vista la trama incentrata su vicende quasi prettamente romantiche, che il setting storico di Bridgerton, così come di altri contenuti simili, sia prevalentemente una cornice pittoresca per le vicissitudini dei giovani protagonisti più che un elemento di reale importanza narrativa.
In fondo non è stato spesso detto che Bridgerton somigliasse proprio tanto a Gossip Girl, ma in costume? E probabilmente i costumi stessi sono più rilevanti dell’ambientazione storica, di cui si riprendono solo dei classici rimandi all’etichetta sociale, ma quasi più come espediente per l’elemento scandalo “sociale”. La questione della razza è resa invece del tutto irrilevante e volontariamente tenuta al di fuori dello scandalo.
Forse la domanda da porsi di fronte ad un prodotto che sfrutta il Color-Blind Casting è quanto questo interferisca realmente con la storia che stiamo guardando. E trattandosi praticamente sempre di storie e personaggi di finzione, l’interferenza tende spesso ad essere nulla, limitandosi a un effetto “visivo” un po’ anomalo perché, semplicemente, ci siamo poco abituati.
Dev Patel ed il color-blind casting in La vita straordinaria di David Copperfield
Aprendo nuovamente al cinema e in tempi più che recenti, l’ultima di queste dimostrazioni è stata data dal film La vita straordinaria di David Copperfield(2019). Il protagonista è interpretato infatti dal bravissimo Dev Patel (Slumdog Millionaire, Vita di Pi, Lion), attore inglese di origini indiane. Patel aveva interpretato in precedenza quasi esclusivamente il ruolo del ragazzo indiano. Il suo ultimo film è invece tratto dal romanzo di Charles Dickens ed è ambientato nell’Inghilterra della rivoluzione industriale.
Per quanto Dickens e il contesto storico ben definito possano sembrare intoccabili (quasi come Shakespeare), si tratta pur sempre di un prodotto di finzione. Pur ispirandosi alle condizioni storiche di quel periodo, i personaggi sono stati inventati dalla penna dell’autore e in questo caso trasposti per il grande schermo dal regista italo-scozzese Armando Iannucci, in chiave CBC.
Non solo Patel, infatti, ma anche gran parte del cast del film è stato scelto indipendentemente dall’etnia. Viene da dire che la selezione avvenga persino con criteri più meritocratici o, comunque, riducendo certamente gli elementi di discriminazione in favore delle pari opportunità.
E’ proprio una delle co-star di Dev Patel, l’attrice Rosalind Eleazar, a dare una delle risposte più semplici e dirette a chi si pone in maniera più scettica sul tema, considerando il Color-blind casting un’esasperazione del politically correct:
“In fondo, la maggior parte dei film, degli spettacoli televisivi o delle opere teatrali chiamano in causa aspetti come la condizione umana e la sofferenza“, ha spiegato l’attrice al The Guardian. “Se questo è l’intento, allora perché mai siamo così reticenti a coinvolgervi persone che hanno un colore della pelle diverso? Ci sono storie che richiedono un casting basato sull’etnia, come nel caso di un biopic su Martin Luther King… Altre, come quella di David Copperfield, in cui questo è irrilevante. Perché alla fine è un racconto sui privilegiati e sui poveri. E, soprattutto, è una storia inventata».
In fondo accettiamo con molta più facilità e quasi senza pensarci delle scelte di Color-blind casting in altre saghe celeberrime. Ad esempio quelle tratte dai fumetti (moltissimi gli esempi Marvel). Eppure il fumetto originale presenta spesso ancora più palesemente una rappresentazione etnica dei personaggi ben precisa direttamente dall’immaginario dell’autore, che il regista di turno reinterpreta a sua discrezione.