Black to the Future è il quarto album dei Sons of Kemet
Tornano i Sons of Kemet. E con loro torna Shabaka Hutchings assieme ad uno dei più acclamati complessi jazz degli ultimi anni. La band non si faceva sentire da un po’, cioè nello specifico dall’ottimo album Your Queen Is a Reptile, del 2018: uno dei capolavori di quell’anno. Anche stavolta nel nuovo disco King Shabaka si porta dietro Tom Skinner, Eddie Hick e soprattutto Theon Cross.
Il super-jazzista inglese si era fatto risentire nel 2020 con un altro progetto, Shabaka and the Ancestors, con il quale aveva prodotto l’ottimo disco We Are Sent Here by History. Assieme con i Sons of Kemet e The Comet Is Coming, rappresenta uno degli ottimi progetti nei quali l’artista sfoga tutto il suo talento e la sua ispirazione per una musica jazz profondamente immersa nelle radici black.
Tutto questo, già a partire dal titolo, emerge anche in questo nuovo album: Black to the Future. Un disco che potrebbe accompagnare concettualmente un film di Spike Lee o di Jordan Peele, o fare da colonna sonora ad un nuovo Black Panther. Una lunga riflessione musicale che è, più che mai, un’affermazione di emancipazione etnica. E non c’è da sbagliarsi: è nera.
Un disco “black” fino al midollo
Il jazz di Shabaka & Co. accoglie diversi crooner rapper che mettono in poesia la dichiarazione di intenti della musica. Si afferma una totale ed intransigente indipendendenza delle persone di colore, facendo filtrare rabbia, passione ed intemperanza. I Sons of Kemet scrivono un altro capitolo nella loro storia di ri-musicazione di tutta una eredità e una cultura.
Le canzoni riportano lo stile ormai caratteristico del quartetto: un hard bop caldo, sensuale ma anche mistico, furioso ma anche gioioso, che mette sempre il messaggio (anche quando non espresso a parole) davanti alla tecnica. Per questo motivo né King Shabaka né i suoi strumentisti si perdono mai in assolo o in deviazioni sonore: l’atmosfera è quello che conta.
In definitiva, un altro ottimo lavoro jazz che riesce sicuramente nel comunicare le prorie istanze sociali, ma forse un po’ meno nel portare originalità e freschezza. Di fatto il discorso è il medesimo intrapreso da Your Queen Is a Reptile, mancando qui però di una simile organizzazione concettuale e quindi, in qualche modo, della forza assoluta dell’album precedente. Distinto, ma non ottimo.