I Mitchell contro le Macchineè la nuova fatica di Sony Picture Animation che, dopo il successo globale di Spiderman: Un Nuovo Universo, fa centro ancora una volta e si riscatta dal tanto bistrattato Angry Birds 2, consegnando al pubblico un film che ha ben poco da invidiare al lungometraggio sull’arrampica-muri di casa Marvel.
I Mitchell contro le Macchine: la Trama
Quando Katie Mitchell, giovane adolescente desiderosa di diventare regista, viene finalmente ammessa alla scuola dei suoi sogno, il mondo viene totalmente sconvolto da una apocalisse tecnologica. Spetterà a lei e alla sua famiglia salvare la società.
Il Trailer:
I Mitchell contro le Macchine: la Recensione
I Mitchell contro le Macchine è un film che si definisce e si alimenta attraverso la cultura pop, adottando una narrazione conforme non solo all’immaginario in questione, ma anche al modo di raccontare e qualificare una storia figlia di questo contesto. Unaroad movie comedy in linea con la sintomatologia nostalgica dei nostri tempi e con uno sguardo rivolto alle contaminazioni tra generi, ormai con l’implicita necessità di re-inventare tutto ciò che è classico.
La rappresentazione del diario di viaggio di Katy, qualificato dai vari espedienti grafici tipici del linguaggio da social network, è un’intuizione per parlare delle nuove identità generazionali, ma anche un modo per sottolineare come una certa iperattività visiva, frutto di quest’era tecnologica, generi inevitabilmente un lessico; un qualcosa ormai difficile da trascurare.
Un’intuizione magari non innovativa, ma che nel campo dell’animazione trova il suo spazio ideale, rendendo ancora più agile e diversificato il racconto.
Un’operazione che, nonostante i rischi della scelta, riesce ugualmente ad evitare aberrazioni visive e ridondanze di concetto, arrivando a fare di quel linguaggio una manifestazione della protagonista. Se generalmente i coming of age racchiudono dentro di sé la spiritualità di una società e della sua generazione, allora è anche giusto che questi facciano menzione all’identità linguistica di quel che raccontano. Se il linguaggio, in questo caso prettamente visivo e sintetizzato, è massima espressione di chi lo pratica, allora I Mitchell contro le Macchineè un’istanza dell’alpha generation.
I giovani di oggi imparano prima ad utilizzare uno smartphone che a scrivere, facendo dell’immagine lo strumento perfetto per apprendere e parlare; sono condivisione istantanea ed enfatizzata, pura interazione. L’Alpha generation elude in parte la vecchia trafila d’apprendimento e si getta nella più immediata comunicazione, sintetizzata ed esaltata nei suoi contenuti.
Le immagini commento, o meglio le icone, in I Mitchell contro le Macchine trovano quindi senso di esistere proprio in questi meccanismi, utili anche per una sintassi più conforme ed attuale per il pubblico di riferimento. Quella di Michael Rianda è quindi un’opera figlia dei suoi tempi, ammiccante alle varie realtà socioeconomiche d’internet, capace di fornire un racconto fantastico meno idealizzato e più concreto.
Il film è una miscela postmoderna di suggestioni ed intenzioni che si abbandona ripetutamente a momenti visivi tipici del videoclip, restituendo al pubblico un’opera ben ritmata ed equilibrata. Continuando a parlare del lavoro di Michael Rianda, risulta impossibile non menzionare quella volontà di dare un’idea maggiormente cinematografica al racconto, soprattutto attraverso l’utilizzo di “camere virtuali” pronte ad immortalare le vicende della famiglia Mitchell.
Ci troviamo di fronte a un mashup tra tipologie narrative, che strizza l’occhio ai found footages, finendo con il dare una certa consapevolezza e sensibilità all’immagine. Sarà poi proprio quel tipo di cinema “casalingo” a rappresentare la salvezza per il mondo e per il singolo;un cinema, o meglio un’immagine, che nel suo atto più naturale ed istantaneo conduce sia alla libertà che alla redenzione.
I Mitchell contro le Macchine è una lettera d’amore per il cinema, simil autobiografica, che parla dell’importanza del racconto, o meglio del viaggio, e della forza che quest’ultimo può sprigionare. Un’avventura posta allo spettatore come l’unica soluzione percorribile, tanto seducente quanto appagante, su cui il senso del raccontare trova fondamento. Un film che fa del rapporto padre-figlia il fulcro per la riappacificazione tra due generazioni, mettendo in luce tutti gli ovvi contrasti tra modi differenti di concepire e guardare le cose.