Con l’uscita di Returnal, per PS5, la comunità meno preparata è rimasta interdetta di fronte all’ultima fatica di Housemarque. La nuova esclusiva Playstation è un gioco sontuoso ma punitivo, tecnicamente impeccabile e allo stesso capace tempo di riesumare, nel gameplay, i sogni proibiti dei gamer più hardcore. Returnal è infatti uno sparatutto in terza persona, con derive horror sci-fi, che però si struttura come il più classico dei roguelike.
O per essere più precisi, un roguelite. No, non è un errore di battitura: molto comunemente si tende a confondere le due definizioni. Il che non rappresenterebbe più di una sottigliezza linguistica, se non fosse per il fatto che le regole che identificano un roguelike sono state codificate in una conferenza tenutasi a Berlino del 2008. Una tradizione quindi quasi severa, che ha incontrato il grande pubblico solo nei tempi più recenti.
Se è vero in effetti che Returnal rappresenta la prima ideale congiunzione tra le produzioni ad alto budget e il mondo dei roguelike-roguelite, non dobbiamo andare molto indietro nel tempo per trovare un’altra perla, meritatamente premiata in più occasioni. Hades è stato una delle uscite più apprezzate di un 2020, almeno videoludicamente, ricco ed appagante. La formula vincente, di un hack and slash isometrico con la progressione e narrazione di un roguelike, uniti ad una direzione artistica e narrativa impeccabile, hanno scritto la fortuna del titolo.
Ancora prima però troviamo quell’autentico fenomeno di costume che è stato, e che è ancora oggi, The Binding of Isaac. E ancora, risalendo questa contro-cultura videoludica, arriviamo al capofila di questo genere videoludico, in cui la sconfitta è una parte essenziale dell’esperienza.
Roguelike significa morire, e morire ancora, e ancora, e ancora
Questo sembra essere uno snodo fondamentale dei roguelike-roguelite contemporanei. La morte in qualche modo è il presupposto da cui nasce lo script del gioco, che siano i loop temporali di Returnal o le fughe impossibili del principe degli inferi dall’Ade, appunto, in Hades. In realtà, però, alla base del gioco vi erano questioni di vera e propria necessità.
Quando i computer non erano performanti come quelli di oggi, la gestione della memoria e dell’interfaccia erano problemi spesso insormontabili, specie se questi esperimenti erano svolti sui terminali disponibili al pubblico. Per cui i due cardini del genere nacquero come una naturale conseguenza: generazione procedurale dei livelli e morte definitiva.
Così nacque, nel lontano 1980, Rogue. Dall’inventiva di due giovani studenti dell’Università della California, Michael Toy e Glenn Witchman, prese vita un gioco di ruolo nella forma di un’avventura testuale in grafica ASCII. Nonostante l’impianto tecnico primordiale, c’è già dentro il nucleo dei tantissimi giochi che si ispireranno a quest’opera.
Le stanze del gioco vengono generate casualmente ad ogni run, per cui ogni partita risulta diversa. Il giocatore raccoglie equipaggiamenti e perk durante la sfida, ma li perde irreversibilmente una volta sconfitto. Anche gli oggetti e le abilità, come i livelli, sono affidati alla casualità, risultando sempre differenti.
E soprattutto non c’è possibilità di salvare in alcun modo i progressi di gioco. Questa era ovviamente una limitazione tecnica, che ha però esercitato un enorme fascino sul seguito di Rogue, tanto da arrivare proprio all’ultima creatura di Housemarque. In Returnal infatti, nonostante ci sia una progressione che si conserva, non è in alcun modo possibile salvare la partita durante una run. Una scelta che non scende ad alcun compromesso con il progresso tecnologico e con le esigenze del pubblico, accentuando ulteriormente l’alto tasso di sfida del titolo.
Roguelike, roguelike-like, roguelikelike-like
Nonostante quindi la difficoltà sia in qualche modo connaturata al genere rogue, Returnal non può per questo definirsi un roguelike. Ci sono dei canoni specifici che viola, come il combattimento a turni, l’ambientazione e la progressione del gioco. Come lui quindi tantissimi altri titoli non sono ascrivibili a questa definizione. Il roguelite è quindi un qualcosa che assomiglia al roguelike senza però rispettarne gli schemi, così rigidi per i puristi.
Anche perché sono usciti fin da subito dal gioco di ruolo nudo e crudo, arrivando a ibridarsi con tanti altri generi, dal twin stick shooter al platform. Ha quindi davvero poco senso parlare ancora di roguelike puri, perché nascevano come variazioni di quel codice nucleare che era il primo Rogue. Qualcuno ha tentato un esperimento nostalgico, sicuramente affascinante ma altrettanto fuori dal tempo.
Che si voglia quindi chiamarli roguelite, o roguelike-like, o coffee-break-roguelike, Returnal e Hades hanno avuto sicuramente il merito di far conoscere una filosofia di gioco rigida e impietosa. Forse, fra tutti, quella più vicina alla vita, in cui ogni sfida è davvero diversa dall’altra e spesso non basta ciò che sappiamo e crediamo di sapere. Ciò che conta davvero è la continua esperienza del fallimento, come occasione di crescita e apprendimento.
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