Concrete Cowboy | Recensione del film con Caleb McLaughlin e Idris Elba

La nostra recensione di Concrete Cowboy, il nuovo western firmato Netflix con Caleb McLaughlin e Idris Elba.

Concrete Cowboy
Condividi l'articolo

Concrete Cowboy è l’esordio nel lungometraggio di Ricky Staub. Nel cast troviamo Idris Elba e Caleb McLaughlin, già volto di casa Netflix per la serie Stranger Things. La distribuzione italiana del film è affidata proprio alla grande N, che lo ha inserito in catalogo dal 2 aprile. L’opera è una trasposizione del romanzo Ghetto Cowboy, del 2011, di Greg Neri.

Concrete Cowboy: la Trama

Cole è un ragazzo difficile che vive con la madre a Detroit: sarà lei a mandarlo a vivere con il padre a Philadelphia. L’incontro con questa figura paterna così assente e distante sarà per Cole la porta su un mondo completamente nuovo, con il quale dovrà misurarsi per diventare finalmente un uomo.

Il Cast

  • Idris Elba: Harp
  • Caleb McLaughlin: Cole
  • Jharrel Jerome: Smush
  • Jamil Prattis: Paris
  • Byron Bowers: Rome
  • Lorraine Toussaint: Nessie
  • Cliff “Method Man” Smith: Leroy
  • Ivannah-Mercedes: Esha
  • Liz Priestley: Amahle
  • Michael Tabon: Jalen
  • Devenie Young: Trena

Concrete Cowboy: il Trailer

Concrete Cowboy: Recensione

Nel cinema western contemporaneo, al di là dei pregi e i difetti, Django Unchained di Quentin Tarantino ha un merito indiscutibile. La storia del cinema americano ha operato una profonda revisione del mito del far west, estromettendo dalla narrazione dei vaccari le persone di colore.

Il western di Tarantino è uno di quei rarissimi esempi in cui il protagonista è un afro-americano; giunge sì all’estremo opposto, ribaltando ulteriormente il punto di vista riscrivendo la storia attraverso il cinema, ma il punto è un altro, e Concrete Cowboy lo centra pienamente.

Attraverso alcune battute chiave, il film tocca davvero questo tema operando una sorta di contro-revisionismo estremamente legato ad un grande realismo. Le didascalie finali ci riportano infatti nell’hic et nunc di una Philadelphia che continua a costruire e ad ergersi sui resti delle scuderie di Fletcher Street, ma Concrete Cowboy è un film capace di essere molto più eloquente attraverso la sola immagine-movimento.

Una carrellata all’indietro che si inombra all’interno di una scuderia, fissando una porta che si chiude, forse per sempre, e fuori un operaio pronto a colare la calce: è uno di quei momenti in cui il regista Ricky Staub dimostra un talento e una sensibilità da grande promessa. Indugia sui dettagli di una messa in scena povera, disadorna, caricando di significato ogni inquadratura, rendendola potente ed evocativa.

Il western, il mito, la Storia

Il registro del film in effetti non è quello di una variazione di cemento sul genere western. Le scelte di Staub caratterizzano piuttosto un dramma umano, che altro non è se non il racconto di formazione del giovane protagonista. In Concrete Cowboy Caleb McLaughlin sorprende per intensità, in una prova attoriale di grande maturità alla prima sfida del ruolo drammatico da protagonista.

Del western forse rimane realmente solo qualche eco sottile nella colonna sonora. La soundtrack del film cede con gusto a certi motivi ricorrenti del genere, trovando comunque una sua fortissima identità nel sottolineare i passaggi più delicati della narrazione.

Il risultato è quindi una sorta di destrutturazione dei canoni del western, che riesce ad andare oltre lo stile e la maniera per ritrarre uno spaccato di società, e di cinema, ghettizzato dalla Storia. La comunità di Fletcher Street, dei black cowboy che considerano il loro mestiere al pari di una missione sacra, è il microcosmo del mito del west e della nuova frontiera americana, che costruisce e riqualifica dimenticando troppo spesso le sue fondamenta.

Continua a seguirci su LaScimmiaPensa.com!