Per questo mese di abbiamo scelto cinque film d’autore diversi tra loro con l’obiettivo di farli scoprire a coloro che non hanno ancora avuto modo di conoscerli o di visionarli. Una serie di opere, accompagnate da delle brevi e fugaci recensioni, che sentiamo nostre, ma anche meritevoli di una più ampia divulgazione. Alcune hanno segnato il loro tempo, diventando icone di un ben preciso modus operandi, altre invece hanno semplicemente lasciato il segno per il loro impatto visivo e narrativo, non avendo nulla da invidiare alle precedenti. Ecco un po’ di consigli d’autore:
Consigli d’Autore: 5 Film da vedere
1. La Jetée – Chris Marker (1962)
“Ceci est l’historie d’un homme marqué par une image d’enface”
[Introduzione al film]
L’immagine condanna, l’immagine salvifica. La Jetée di Chris Marker, oltre ad essere un’interessante riflessione sulla narrazione ed il montaggio, è anche un’operazione che pone al centro dei suoi ragionamenti, testuali e metatestuali, la valenza di un’immagine all’interno dell’economia che la ingloba.
Un film che mediate tutto quel che sottrae ed omette, non solo sottolinea l’elasticità del racconto cinematografico, ma ribadisce anche come quest’ultimo, nell’accezione più romantica del termine, può dipanarsi dalla bellezza di un singolo momento; qui immortalato su schermo. Il regista affronta quindi un viaggio verso i frutti della falsificazione della memoria, e in questo caso anche del cinema, che fanno della bellezza che ve ne emerge l’unica via di salvezza dall’orrore.
Fra varie linee temporali e cunicoli sotterranei, Chris Marker congela ogni azione e la distanzia nel tempo, lasciando allo spettatore il compito di ricomporre il tutto, o meglio di deformare il racconto mediante quel che manca, alimentando così l’inganno. La falsità della memoria, la rielaborazione ed il fantastico in La Jetée vanno di pari passo, portando la singola immagine ad essere una creatura eterna in grado di sopravvivere perpetuamente e di condizionare la persona ed il suo mondo.
Tutto nasce da quel singolo istante, così lontano nel tempo, ma talmente forte da essere sopravvissuto ed idealizzato, da fare di quelle emozioni spettrali che l’hanno salvato, la chiave per il fantastico. É qui che nasce il cinema ed è qui che La Jetée di Chris Marker inizia e finisce.
2. Cane di Paglia – Sam Peckinpah (1971)
“Lei trova la violenza insensata in un film? Io la trovo insensata nella vita”
[Sam Peckinpah]
Cane di paglia di Sam Peckinpah, proprio come Quel pomeriggio di un giorno da cani, anch’egli presente in questa lista, è una delle prime manifestazione delle nuove direzioni artistiche e politiche del cinema statunitense dell’epoca.Il titolo in questione quindi, oltre ad essere esplicito nei suoi contenuti, sporco e grezzo come si richiede, è anche un’opera volta a delineare una riflessione sociologica ed antropologica dei suoi tempi.
Una serie di intenzioni che trovano propria dichiarazione già dal titolo, in grado di richiamare iconograficamente la ferocia dei cani e le ritualità cerimoniali britanniche del raccolto, qua concetti traslati sulla figura del borghese tipo. Ciò che emerge quindi è un ritratto poco lusinghiero nei confronti di una classe potenzialmente violenta ed aggressiva, lontana delle quotidiane ipocrisie che la caratterizzano, ma soprattutto non diversa da quelle meno ambienti che la sorreggono.
La violenza in Cane di paglia si fa quindi estetica, politica ed erotica, con l’obiettivo di dar spessore intellettuale all’intreccio, ridefinendo il genere e dando il via, assieme ad Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, a nuovi modi di narrarlo.
Con il lavoro fatto da Sam Peckinpah si è d’innanzi anche ad una sorta di rivisitazione del racconto Western in chiave urbana che fa dei principi morali il primo terreno di scontro. Nessuno però esce intonso dallo sguardo misantropico dell’autore, che retoricamente fa dell’uomo un cane territoriale e violento, indipendentemente dal vestito che porta.