Nomadland: Recensione del film di Chloé Zhao con Frances McDormand
La nostra recensione in anteprima del film che ha trionfato agli Oscar 2021, in arrivo il 29 Aprile nei nostri cinema ed il 30 Aprile sulla piattaforma Disney Plus.
Dopo il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia, Nomadland di Chloe Zaho si presentava agli Oscar 2021 come grande favorito. Miglior film, Miglior regia, Miglior attrice, Miglior sceneggiatura non originale, Miglior fotografia, Miglior montaggio e naturalmente Miglior attrice protagonistaFrances McDormand.
Queste le nomination per il terzo lungometraggio di Chloe Zhao. E come già accaduto per La-la Land di Damien Chazelle, La forma dell’acqua di Guillermo Del Toro, Roma di Alfonso Cuaron, Jokerdi Todd Phillips, Venezia conferma il suo legame sempre più profondo con gli Academy Awards.
L’esito resta comunque stupefacente. Nomadland vince l’Oscar come Miglior film e Chloé Zhao trionfa come Miglior regista. Ma anche Frances McDormand, a soli 3 anni dall’ultima vittoria trionfa come Miglior Attrice, battendo Viola Davis e le giovani favorite Andra Day e Carey Mulligan.
Che Venezia sia diventata il launchpad degli Oscar è un’allusione usata spesso in termini dispregiativi, come se il più antico Festival di Cinema del mondo non debba necessariamente compromettersi con l’industria, il mainstream, meno che mai la fantomatica fabbrica dei sogni hollywoodiana.
Il successo di un film come Nomadland dimostra piuttosto come la Mostra del Cinema di Venezia, negli anni della direzione di Alberto Barbera, abbia saputo invece rispondere allo spirito del tempo, rappresentando le diverse, molteplici anime del cinema contemporaneo.
Ed è proprio la cinematografia indipendente – gli autori emergenti, i filmaker che raccontano diverse aree del mondo, quelle che non possiedono consolidate realtà produttive – a beneficiare della risonanza, della crescente attenzione internazionale che ora circonda Venezia e la sua selezione.
In questi anni è capitato spesso che il programma della Mostra, come quello di molti altri storici Festival del Cinema, fosse accusato dalla stampa di scarsa rappresentazione femminile. Il problema, oggi come allora, non era certo che i selezionatori avessero deliberatamente escluso filmmaker o artiste donne.
Più tristemente, al netto di polemiche strumentali, il problema è che quei film non esistevano. Non a caso, nel suo discorso di accettazione dell’Oscar 2017 per Tre manifesti a Ebbing, Missouri, è stata la stessa Frances McDormand a riassumere la questione in termini di assoluta, incontrovertibile lucidità.
Le autrici donne avevano bisogno di appuntamenti negli uffici di produzione. Le forme di discriminazione sistemica non riguardano banalmente il contenuto, la rappresentazione della donna al cinema. Rappresentano anzitutto una storica, feroce soglia di sbarramento a livello produttivo.
Quello di Frances McDormand era un invito ad affrontare seriamente la realtà. Parlare di equità salariale, delle difficoltà che incontrano sistematicamente le donne nell’industria cinematografica, del pregiudizio che le vuole magari segretarie di edizione, oppure ufficio stampa, più difficilmente registe, artefici del film.
Inevitabilmente, quando si parla di Nomadland di Chloe Zhao, così come per Promising young woman- Una donna promettente di Emerald Fennel, la discussione finisce per trascendere il cinema, virare drasticamente verso il territorio della politica, delle rivendicazioni e delle visioni ideologiche.
Prima di procedere alla nostra recensione, vogliamo invece sottolineare come il film scritto, diretto, montato da Chloé Zhao meriti tutta l’attenzione possibile. Anzi, è probabile che se il regista fosse stato più comunemente un uomo, la discussione su Nomadland si concentrerebbe su svariati altri temi.
Nomadland. Viaggio al termine dell’America degli ultimi.
I co-protagonisti di Nomadland appartengono alla comunità dei veri nomadi contemporanei. Persone reali, che hanno scelto di rifiutare la presunta normalità del Nord America per vivere on the road, senza fissa dimora, nei loro van, attraversando costantemente il paese. Sono anche persone senza protezione.
Persone non più giovani, costrette ad accettare i lavori più umili, memo garantiti. Quando Frances McDormand ha deciso di acquistare i diritti del libro Nomadland – Un racconto d’inchiesta voleva probabilmente raccontare l’America di chi ha scelto di vivere ai margini, pagando il prezzo della libertà.
Ha quindi scelto di sviluppare il progetto con la giovane regista, sceneggiatrice e montatrice cinese Chloé Zhao dopo aver visto il suo secondo film, un Western decisamente sui generis, The Rider – Il sogno di un cowboy.
E il risultato è un’opera che non necessita di “quote rosa”. Al contrario, Nomadland è l’esatta dimostrazione di come certe autrici necessitino solo un piano di produzione, non di attenzioni speciali, né di alcuna forma di indulgenza per accedere ai più importanti Festival del mondo.
Il successo trasversale di pubblico e critica farà ancora di Nomadland un target, l’oggetto delle più prevedibili, facili prevedibili critiche. Tra queste, la più ovvia è che il film venga premiato solo come diretta conseguenza del movimento #MeToo.
Ma quanti film riuscite a ricordare con una protagonista che non sia giovane né bella? Quante volte abbiamo visto un ritratto non edulcorato, non melodrammatico dei loser, gli outcast, che racconti la moltitudine di persone scivolate irrimediabilmente fuori dalla società, la normalità e i suoi standard?
Dal 29 Aprile Nomadland sarà ufficialmente nei nostri cinema, che sperimentano così la prima riapertura dalla fine di Ottobre 2020. Dal 30 Aprile invece il film sarà disponibile senza costi aggiuntivi per tutti gli abbonati Disney Plus.
A questo punto, vorremmo semplicemente invitarvi a vedere quest’opera struggente, visivamente splendida senza pregiudizi. Soprattutto senza stigmatizzare il suo meritato, storico successo.
Nomadland: La trama
Fern (Frances McDormand) nel giro di pochi mesi ha perso ogni cosa. Dopo aver vissuto per anni in una cittadina aziendale in Nevada, Fern ha perso prima suo marito, poi anche la casa. Quando la miniera ha cessato le sue attività, infatti, si è ritrovata sola con la sua auto e pochi, pochissimi averi.
La donna non ha particolari titoli di studio né esperienze lavorative da poter vantare. Sulla sua strada incontrerà però altri nomadi, come Dave, Linda May e Swankie. Imparerà anche grazie a loro come gestire una nuova vita, fatta di molte imprevisti, ma anche delle più radicale, assoluta indipendenza.
Nomadland: la Recensione del film di Chloé Zhao
Prima di evocare annose questioni o magari i presupposti fondamentali della Feminist Film Theory, per come è stata formulata già alla fine degli anni ’70, vogliamo soffermarci su quella semplice domanda.
Quanti film ricordate che abbiano come protagonista assoluta una donna che non è giovane e non è bella?Probabilmente state pensando a Misery non deve morire, interpretato da Kathy Bates nel 1990, premiata con l’Oscar come Miglior attrice non protagonista nella notte di ben 31 anni fa.
Oppure state pensando a Monster di Patty Jenkins, datato all’anno 2003. Peccato che sotto il trucco mostruoso della serial killer ci fosse Charlize Theron. Insomma, una super modella sud-africana, che resta tutt’ora tra le donne più belle del creato.
Dopo questi 2 soli titoli la memoria già arranca. Perché è un dato di fatto che l’industria dello spettacolo, in particolare nel caso della cinematografia americana, non ami scegliere protagoniste di mezz’età, meno che mai povere, che non presentino un aspetto più che gradevole.
Nomadland si presenta allora come un film radicale fin dalla prima inquadratura. Frances McDormand si mostra come d’abitudine senza trucco, mortificata dal taglio di capelli e gli abiti informi. La cruda verità del suo volto ci proietta immediatamente nella realtà di una donna sola, senza soldi, senza più punti di riferimento.
Attraverso il suo volto, il suo sguardo scopriremo l’America dei grandi spazi. Chloé Zhao realizza infatti un moderno road movie, ma anche il più anomale dei viaggi di formazione, già che la protagonista ha scelto deliberatamente di non dimenticare il passato, tenere costantemente viva la memoria di suo marito.
Le bellezza e la verità di un film come Nomadland appartiene al talento incomparabile di un’attrice come Frances McDormand, ma anche a una regia che sa restituire un ritratto struggente di quegli scenari incontaminati, e insieme delle persone, i nuovi nomadi che attraversano quelle terre di frontiera.
Nel suo celebre saggio del 1973 “Piacere visivo e cinema narrativo”Laura Mulvey poneva tra le fondamenta della Feminist Film Theory l’idea che l’immagine femminile fosse sempre modellata in funzione del piacere maschile, che si trattasse dell’angelo del focolare o di una sexy dark lady.
A decenni di distanza Frances McDormand e Chloé Zhao sembrano aver sfidato un duplice tabù. I primissimi piani di Frances, o meglio Fern, indagano la geografia di un volto impietosamente segnato dalle difficoltà e dalla vita. Ma nel film ci sono anche Dave, Linda May, Swankie.
Sono veri nomadi, che non possiedono altre che case su quattro ruote. Si considerano al pari degli antichi pionieri, i cercatori d’oro, gli uomini della frontiera, che sfidando la natura incontaminata rappresentano ancora il più autentico mito di fondazione degli USA.
La geografia dei volti, nella visione registica di Chloé Zhao si fonde con la geografia dei grandi spazi. Il viaggio racconterà allora l’America attraverso Nord e Sud, montagne e deserti, piccole cittadine sperdute e la vera comunità di nomadi che ha rifiutato “la tirrania del dollaro”.
Queste persone hanno fatto della perdita del posto di lavoro, della disoccupazione, dell’assenza di punti di riferimento, ammortizzatori sociali, assistenza medica il meglio che potevano. Ovvero, hanno interpretato l’assenza di legami come libertà assoluta.
Le persone che vedremo raccolte attorno al fuoco sono reali, così le loro storie. Eppure, il film non è un atto d’accusa contro la spietata America dei vincenti. È piuttosto la celebrazione della dignità, la forza, le piccole gioie che queste persone sanno inventare giorno dopo giorno per andare avanti.
Nomandland è certamente un film su una donna, una storia di vita normalmente esclusa dall’immaginario cinematografico. Ma è anche un film su una vasta comunità di persone pronte ad aiutare chi resta indietro. Ed è anche un film sul lutto, dedicato a chiunque viva una perdita impossibile da superare.
Difficilmente queste persone, questa parte di umanità trova spazio al cinema, meno che mai attraverso un film così poco edulcorato, dove il realismo diventa struggente. E forse grazie alla poesia del film di Chloé Zhao, a un certo punto del viaggio, inizieremo perfino a vedere la vita con i loro occhi.
Uno spettacolo dove la bellezza esplode improvvisa in un paesaggio, un nuovo scenario sconosciuto, o magari la voce, la storia di una persona fino a un minuto prima sconosciuta, che sembra ripagare di ogni fatica.