Mank ci sta mentendo sulla sceneggiatura di Quarto potere

Mank, Gary Oldman
Gary Oldman in Mank. Credits: Netflix
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Mank è uno dei film più chiacchierati della scorsa stagione. In un anno certamente non facile per il cinema il film di David Fincher è stato senza dubbio una delle visioni migliori, che si appresta ora ad approdare anche nei cinema.

L’opera di Fincher è anche molto attesa per la notte degli Oscar di domenica 25 aprile. Il film si è infatti meritato 10 candidature, rendendolo il film con più nomination di questa edizione.

L’Academy lo ha però snobbato in una categoria importante come quella relativa alla sceneggiatura. E forse questa scelta arriva proprio dal fatto che Mank ci sta (molto probabilmente) mentendo sull’origine della sceneggiatura di Quarto potere.

Qui trovate la nostra recensione di Mank.

La sceneggiatura di Quarto potere secondo Mank

In Mank vediamo fin da subito il protagonista interpretato da Gary Oldman alle prese con la stesura dello script del capolavoro di Welles. Mankiewicz, dopo l’incidente che lo costringe a letto, viene assunto da Welles, senza alcuna promessa di ricevere credits per il proprio lavoro.

Durante il film è più che evidente che sia Mankiewicz a scrivere in toto Quarto potere, mentre a Welles è riservato un ruolo non certo lusinghiero. Il film di Fincher come sappiamo è stato scritto dal padre del regista, Jack Fincher, negli anni ’90.

Mank fa un ottimo lavoro nel ritrarre quella che era la realtà degli sceneggiatori nell’epoca del sonoro nella Hollywood classica, ma sulla questione della stesura della sceneggiatura di Citizen Kane c’è da discutere.

Fincher padre si sarebbe ispirato particolarmente ad un saggio piuttosto famoso quanto criticato nell’ambiente cinefilo. Si tratta del controverso lavoro di Pauline Kael, nota critica statunitense, che nel 1971 pubblica su The New Yorker.

Pauline Kael e Raising Kane

Pauline Kael
Pauline Kael

In America non si è mai smesso di parlare di Orson Welles (e di Quarto potere, ovviamente). Welles resta ancora oggi una pietra miliare con cui confrontarsi, nonostante una carriera non poco tribolata. Gli scritti sulle sue opere sono innumerevoli, ma alcuni di essi hanno raggiunto una notevole fama in ambito accademico e non.

Fra questi, uno dei più noti è sicuramente Raising Kane, un saggio di Pauline Kael, il nostro oggetto della discordia. Kael è stata una delle critiche più importanti del cinema moderno ed è stata molto famosa in patria. Scrisse per il The New Yorker dal 1967 al 1991 ed influenzò non poco il discorso sul cinema in America.

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Si schierò da subito contro la nascente Author theory di Andrew Sarris, controparte americana della politique des auters francese. Secondo Kael il cinema va visto come uno sforzo creativo collettivo più che iniziativa e realizzazione di un autore (identificato come regista).

Proprio nel 1968 riceve la proposta di scrivere un saggio di apertura alla sceneggiatura di Citizen Kane da un editore. Il risultato sarà il precedentemente citato Raising Kane, frutto di un lungo lavoro fatto di interviste e ricerche. La Kael collaborò con il professore della UCLA Howard Suber, che però non venne accreditato.

Particolarmente importanti furono le interviste alla vedova di Mank e a John Houseman che favorirono lo sviluppo che il testo avrebbe preso.

L’idea che aveva preso spazio nella mente della Kael era che il lavoro di Mankiewicz fosse stato preponderante sulla sceneggiatura, ridimensionando notevolmente lo spazio del regista nella fase di scrittura. Anzi, arrivò ad attribuire quasi esclusivamente la paternità dello script al nostro Mank, in quello che, in parte, potrebbe essere visto come un tentativo di avvalorare le sue idee anti-autore.

La risposta a Raising Kane

Il saggio venne pubblicato per la prima volta nel 1971 sul The New Yorker. La risposta della comunità cinematografica fu subito importante, con riscontri positivi e, ben presto, negativi.

Arrivarono infatti dopo poco tempo forti critiche sul lavoro della Kael. In primis quelle di Peter Bogdanovich, intimo amico di Welles oltre che regista e critico. Bogdanovich confutò punto per punto la tesi della critica con un saggio intitolato The Kane Mutiny, in cui prese le parti dell’amico e collega. Bogdanovich criticò, fra le altre cose, la scelta di non intervistare Welles e la questione relativa al contributo di Suber.

Lo stesso Suber, interpellato dal regista, si sarebbe detto molto deluso di quanto accaduto e avrebbe definito la questione sulla paternità di Quarto potere “aperta”.

Anche Sarris intervenne nella discussione, lamentando un lavoro poco accurato, che guarda più al gossip che non a fatti verificati.

Di fatto, la Kael non fece un ottimo lavoro di ricerca sul film, prendendo per buone alcune fonti discutibili e tralasciandone (forse volutamente) altre. L’impressione è quella che la critica abbia selezionato il materiale per portare acqua al proprio mulino, ovvero sostenere la sua idea di cinema attraverso l’esaltazione del lavoro di Mankiewicz.

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La Kael non risponderà mai alle critiche, né modificherà o abnegherà quanto scritto.

Cosa c’è di sbagliato in Mank (e in Raising Kane)?

Mank, Gary Oldman, Amanda Seyfried
Amanda Seyfried e Gary Oldman in Mank. Credits: Netflix

Fermo restando che stabilire quanto sia da attribuire a Mank e quanto a Welles per la sceneggiatura sia quasi impossibile, ci sono elementi che sono stati smentiti nel corso del tempo e che vengono ripresi da Fincher (padre e figlio).

Ad esempio, è stato a lungo contestato che Welles non abbia scritto neanche una riga di testo, come sostiene Kael e sembra mostrare il film. È possibile che Welles non sia intervenuto sul draft che Mank stese a Victorville, sotto la supervisione di Houseman. Ma è altrettanto possibile che Welles abbia non solo scritto un altro script, ma anche che abbia corretto in corsa quello di Mankiewicz. Le note ricevute inizialmente da Mank non sono poi da accantonare.

Diverse fonti riportano che Welles era solito discutere con lo sceneggiatore sul set, proponendo cambiamenti durante le riprese. Avrebbe anche apportato dei cambiamenti in solitaria.

La questione del ricorso al sindacato degli sceneggiatori per avere riconosciuti i propri diritti è stata contestata. Charles Lederer, a sua volta sceneggiatore, sostenne che nessuna questione simile arrivò mai alla Screen Writers Guild.

Sempre Lederer, che era il nipote di Marion Davies, sostenne sì di aver ricevuto la sceneggiatura di Citizen Kane da Mankiewicz, ma disse anche di non averla mai passata all’attrice. Lederer non fu interpellato dalla Kael.

Anche la questione sull’idea di prendere spunto dalla vita di William Randolph Hearst sarebbe molto più contesa di quanto appare. Sebbene sia sicuro che Mankiewicz abbia contribuito in maniera determinante grazie alla conoscenza diretta di Hearst e della Davies, le testimonianze sull’origine dell’idea si dividono.

In generale, la questione sulla paternità di Quarto potere è molto più complessa di come la Kael abbia cercato di farla passare. I meriti di Mank sono più che evidenti, così come quelli di Welles sia in fase di realizzazione che di stesura. Come spesso accade, molto probabilmente la verità sta nel mezzo.