L’orrore, la paura, la storia paradossale di un paese come l’America. La Terra della Libertà , ma non per tutti. Almeno non per loro, o Them, come il titolo di questa ambiziosa serie antologica targata Amazon Prime Video. Una serie che scaverà dentro ogni singolo spettatore.
Il passato come specchio di un presente maligno e malvagio in cui il più bieco razzismo verso gli afroamericani ha causato non pochi danni sociali. Manifestazioni, divisioni in buoni e cattivi da parte di una certa frangia politica che hanno evocato fantasmi mai del tutto scacciati.
Ecco quindi riassunto all’incirca Them, dalla mente di Little Marvin, che altro non è che una storia d’orrore americana.
Them, la Trama
Nel periodo della grande migrazione dagli stati del Sud, la famiglia Emory fugge dal North Carolina per una apparentemente più ridente Compton, California, provando a lasciarsi alle spalle un passato a dir poco traumatico.
Tuttavia, le cose non andranno certo a migliorare. Fuori dalla porta della nuova casa su Palm Drive, i vicini sono a dir poco disgustati dal colore della pelle degli Emory. Dentro la casa, strane presenze turberanno una vita già ben lontana dall’essere tranquilla.
Them, la Recensione
L’avvento di un genio come Jordan Peele ha finalmente sdoganato (laddove ce ne fosse bisogno) il fatto che il cinema di genere ha la capacità intrinseca di saper denunciare le diseguaglianze sociali.
Tessere le lodi di questa prima stagione è quasi fin troppo facile vista la sua potenza, sebbene alcune storture sulla parte finale. Ciò che però balza all’occhio è sicuramente la gestione della narrazione che rappresenta un po’ l’emblema della locuzione “spirale di follia“.
L’orrore fuori di casa, l’orrore dentro casa. Impossibile scappare dalla persecuzione della violenza razzista, sia essa concretizzata nelle classiche famiglie W.A.S.P. (acronimo di “bianco, anglosassone e protestante“) o dai fantasmi del passato che prendono forma e trascinando la famiglia nel baratro della follia.
Cosa è reale, cosa no? Them decide di viaggiare su questi due binari apparentemente paralleli, salvo poi incontrarsi in un finale forse fin troppo sbrigativo per alcuni aspetti legati principalmente all’evoluzione psicologica di Lucky (Deborah Ayorinde), moglie e madre vessata dal razzismo e dalla misoginia.
Ma l’interpretazione a dir poco magistrale della Ayorinde riesce a colmare alcuni vuoti lasciati dalla fretta di concludere forzatamente la spirale di panico e follia su cui la serie pone le sue basi. Nulla di così grave però da non permettere alla serie di lasciare un certo disagio nello spettatore.
Un disagio acuito dall’atteggiamento di Betty, biondissima razzista vicina degli Emory, interpretata da una perfetta Alison Pill. Il suo sorriso forzato, la sua costante aggressività passiva, vi faranno gelare il sangue. Tuttavia, il dare un senso alla sua cattiveria, sebbene sia ormai una prassi, pesa non poco nelle dinamiche del personaggio.
Così come per Lucky, l’interpretazione riesce a nascondere sotto al tappeto ogni altra stortura. Stortura che appare inspiegabilmente necessaria al giorno d’oggi. Ma poco importa in questo caso.