Habemus Capa è la rinascita e metamorfosi di Caparezza
“Nuntio vobis gaudium magnum: Habemus Capa”. Questa la frase, parodisticamente religiosa, che Caparezza sfrutta per annunciare la sua rinascita. Una rinascita già avvenuta, una che in realtà deve ancora avvenire? In realtà non c’è un momento preciso da identificare: come proverà poi la canzone Abiura di Me, il rapper vuole sempre “passare al livello successivo”.
Qui, però, il cambiamento è però ancora in atto in quanto fase di evoluzione iniziata a partire dalla involontaria pre-parodia di sè stesso, quella di Mikimix, i cui panni sono stati dismessi da Caparezza con sdegno e auto-biasimo. Habemus Capa è il suo terzo album con il nome (e con la personalità artistica) attuali, ma per certi versi il percorso è ancora all’inizio.
Prova ne è la sua metaforica “morte”, che dà inizio all’album e riprende concettualmente la fine del precedente, Verità Supposte (2003): “Mamma quanti dischi venderanno se mi spengo”. Il brano introduttivo, Annunciatemi al Pubblico, è infatti proprio l’immaginazione di un suo funerale, esorcismo di una circostanza tanto temuta quanto da dissacrare.
Allora ecco che Torna Catalessi costruisce una complessa metafora sull’idea dell’immobilità come liberazione, con atmosfere quasi dark e toni drammatici. Gli Insetti del Podere è un forte rock alternativo che paragona, con particolare precisione, tutta la scena politica italiana dell’epoca ad una vasta gamma di sordidi invertebrati.
C’è spazio per molti altri momenti critici, come Inno Verdano, che con una saggia sostituzione (“Verdania” al posto di “Padania”) prende di petto la politica della Lega (che allora era ancora “Nord”). Lo fa immaginandosi un pugliese (sè stesso) che smania per unirsi alle file del movimento, su musiche celebrative che non posso non richiamare qualche eco di regime.
Le altre canzoni non si tirano indietro, attaccando ciascuna una differente realtà , come quella televisiva (The Auditels Family, una parodia della Famiglia Addams) o quella del mercato e della borsa (Titoli). Ma il momento centrale e di certo più riuscito è l’indagine psicologica de La Mia Parte Intollerante.
In questa canzone Capa si paragona, attraverso una serie di metafore, al Dottor Jekyll e al corrispettivo Mr. Hyde. Lui è un individuo tranquillo, in fondo posato e misurato: ma se provocato, costretto a tenere tutto dentro, non può che esplodere. Da qui la metafora della “gabbia”, nel video, dalla quale esce infine gridando, abbracciando la propria natura più intollerante, appunto.
Culmine dell’intero viaggio: la rinascita vera e propria, in Habemus Capa, dell’artista. “Ma sei tu Mikimix?” chiede una voce. “Tu l’hai detto!” risponde Capa, quasi sdegnato, eppure ancora nell’atto di scrollarsi di dosso quella vita passata. Giunti a questo punto del resto nessuno dubita del suo avvenuto cambiamento, se non lui stesso: per lui non è mai abbastanza.