Piaccia o no, la sofferta (e già di dubbio gusto) tragedia del primo Rambo del 1982 non rappresenta più la vera incarnazione dell’eroe nell’immaginario collettivo.
Oggi, per tutti, John Rambo non è un reduce sconvolto, men che mai un’icona antimilitarista; la saga fu anzi riprogrammata fin da subito, trasformandola in quella che oggi è l’immagine simbolica stessa dell’iperviolenza, della retorica imperialista e dell’azione a briglia sciolta.
Un ideale di eroismo figlio dei suoi tempi, oggi non privo di sottotesti inquietanti – come intuito dall’orrorifico quinto film diretto di recente da Adrian Grunberg.
In un mese che ripropone buona parte del catalogo, l’obbligatoria maratona rende necessario rimettere le mani anche su questo capitolo “di mezzo”: elaborazione del trionfale secondo film, l’assurdo e fuori tempo Rambo III fu ai tempi fu capace di stroncare la saga da solo, ma è oggi fondamentale per inquadrare definitivamente come immortali le sballate e politicamente scorrettissime caratteristiche del “nuovo” Rambo.
Tutto il mio Folle Amore – Gabriele Salvatores (2019)
In un’offerta molto Hollywood-centrica e segnata da vecchie e nuove proposte legate al classico binomio Azione/Avventura, si può trovare spazio anche ad un suggerimento fuori contesto.
Era dunque un peccato vederlo bloccato nel cadaverico franchise del Ragazzo Invisibile, operazione concettualmente apprezzabile quanto essenzialmente sbagliata alla base. Ben venga dunque questo recente ritorno alle origini, prima dei generi, degli Oscar, di Ammaniti: in Tutto il Mio Folle Amore rivive precisamente quel road movie di sentimenti e malinconia “alla Salvatores”, vecchio stile, che negli anni ’90 fece epoca. Quanto tempo.