Un tesoro maledetto, un’isola misteriosa e un avventuriero coraggioso: Nathan Drake
Uncharted: Drake’s Fortune è il primo capitolo della saga di Nathan Drake. Egli è il beneamato eroe protagonista di un filone di giochi apprezzatissimi che hanno portato Naughty Dog, la casa di Crash Bandicoot, in cima all’industria videoludica per nomea. Con questi giochi Naughty Dog si reinventa e decide il proprio futuro successo, che passerà per The Last of Us.
In questo senso, Uncharted è una fase necessaria di un’evoluzione. Un percorso che dai giochi di Crash Bandicoot, passando per Jak and Daxter, porta Naughty Dog alla maturità completa e alla costruzione di un’esperienza di gioco realistica, coinvolgente ed emotiva. Nathan Drake (Nate) è la figura che rende tutto questo possibile.
Non solo lui, naturalmente. Fondamentali sono le possibilità offerte dalla PlayStation 3, console con la quale Drake fa il suo esordio. Anche, in questa fase, è importante il coinvolgimento di Neil Druckmann, ancora in un ruolo secondario ma già forte propositore di storie impegnative e giochi ambiziosi.
Uncharted riprende gli elementi essenziali del gioco d’avventura e lo re-inventa per il nuovo millennio, con protagonisti memorabili, una trama avvincente e tutto quel che serve per catturare il giocatore. L’esperimento riesce sicuramente e segna anche un passaggio fondamentale nella rinascita videoludica che alla fine degli anni ’00 cerca sempre più di catturare “la realtà”.
Drake: un po’ Indiana Jones, un po’ Lara Croft
Partiamo dai protagonisti. Prima di tutto c’è lui, Nathan Drake. Avventuriero scavezzacollo, un po’ ladro un po’ archeologo, ambizioso ma in fondo buono. Il personaggio è studiato per piacere a tutti: è attraente ma anche imbranato, capace ma anche fortunato. Simpatico quanto un supereroe medio del MCU.
Nate è, soprattutto, profondamente umano. Potrebbe essere il protagonista di un qualunque film d’avventura, ma questo non lo rende necessariamente eccezionale o superiore agli altri. Anche perché, di fatto, è il giocatore stesso a guidarlo attraverso enigmi e ostacoli.
Al suo fianco, naturalmente, i dovuti comprimari. Soprattutto Victor Sullivan (Sully), mentore, vecchio saggio ma anche spalla comica, delinquente navigato ma in fondo anche lui di buon animo. E poi la bella del caso, Elena Fisher, donna del cuore di Nate e personaggio a sua volta fondamentale sia per la storia che per l’avventura.
Nel corso del primo gioco e dei successivi le vicende di questi tre protagonisti, più che con ogni altro, si intrecceranno in un legame saldo e duraturo. Nate è quindi personaggio principale solo in parte, per quanto i maggior cliché dell’ambientazione d’avventura passino per il suo agire logico ma anche sguaiato, che lo rende più simpatico di tutti gli altri.
Alla ricerca dell’El Dorado
La trama, in breve. Secondo una antica leggenda dei Conquistadores, l’El Dorado sarebbe una mitica città tutta d’oro nascosta in qualche parte dell’America del Sud. Gli spagnoli e altri esploratori l’hanno cercata per secoli e sembra essere solo un mito, finché Nate e Sully non vengono messi sulla pista giusta da una tesimonianza di Sir Francis Drake, il corsaro inglese.
Scoprono che l’El Dorado non è una città, ma una statua. Ed è maledetta. La seguono fino ad un’isola sperduta, colma di trappole e insidie. Di mezzo si mettono anche i classici criminali senza scrupoli, guidati dall’affarista Gabriel Roman, che ha al soldo Eddie Raja (vecchia conoscenza di Nate) e i suoi mercenari, più il freddo e spietato Atoq Navarro.
All’avventura si aggiunge anche Elena, giornalista in un primo momento ingannata da Drake ma che si unisce poi a lui nella ricerca del tesoro. Ricerca che semina morte e sangue, portando i tre a scontrarsi con una maledizione, emanata dallo stesso El Dorado. Chi ne viene “infettato” si trasforma in una letale creatura mutante.
In questa sorte sono incorsi prima gli spagnoli, poi i nazisti, tutti alla ricerca della statua sulla medesima isola. Recuperando le testimonianze di Francis Drake (e rinvenendo il suo corpo), Nate capisce che la cosa giusta da fare è distruggere la statua, bloccando appena in tempo Navarro nel suo intento segreto di rivederla come arma biologica. Naturalmente, i buoni vincono.
Il gameplay
Uncharted è un gioco d’avventura che mescola sapientemente elementi platform, puzzle e third-person shooter. L’influenza della serie di Tomb Raider è chiara, ma le vicende di Nate sono più scorrevoli e disimpegnate. Grande importanza viene data alle abilità di movimento, così come all’uso delle armi da fuoco, accuratamente studiato.
Nate è, in questo, come un attore di un film d’azione. Salta, rotola, spara, si nasconde, corre, si appende a sporgenze altissime, fugge via dalle esplosioni, ecc.. Tutte le caratteristiche di questo tipo di format sono ricostruite sì da dare al giocatore moltissime possibilità di gameplay diverse. Per esempio, si può anche semplicemente esplorare l’ambiente senza fare nulla.
Ambiente che, del resto, è già fin da questo primo gioco disegnato con una precisione impressionante. La costruzione dell’antico forte spagnolo, per esempio, o delle macerie di un antico monastero, lasciano basiti per la cura del design, che fa da controcanto all’attenzione prestata ai riferimenti storici e ai minimi dettagli relativi, come gli antichi manufatti rinvenuti qua e là.
La resa del gameplay è, in ogni caso, state-of-the-art per il 2007. L’esperienza di gioco è sempre intrigante e non lascia spazi piatti o momenti noiosi. Anche se la storia è quasi interamente ambientato su un’isola sola (a differenza dei successivi), la varietà d’ambiente c’è e l’atmosfera sfiora spesso piacevolmente l’horror survival, specie nella seconda metà del gioco.
Le tematiche: Drake e la morale
I temi affrontati nel primo gioco non sono particolarmente complessi e mantengono un livello di introspezione basso rispetto ai capitoli successivi. Come si può prevedere, Nate si trova spesso in dubbio nel dover decidere che cosa è più importante di lui nel corso della letale ricerca del tesoro.
L’amore, l’amicizia e la lealtà sono i valori che per lui contano, al di là dell’importanza che ripone nel dimostrare la sua abilità come cacciatore di tesori (che è la spinta reale dietro alle sue ricerche). Ecco perché, seppur con difficoltà, messo alle strette compie la scelta giusta e anche nei suoi momenti peggiori non si “abbassa” mai al livello di morale bieca degli antagonisti.
Così anche Sully ed Elena, entrambi spinti dai loro motivi personali e “professionali”, al fianco di Nate tracciano una netta linea d’onestà, nei loro intenti e nelle loro intenzioni, che li separa da Gabriel Roman, Eddie Raja ed Atoq Navarro. Quest’ultimo, per esempio, non si fa problemi a consegnare il suo datore di lavoro alla maeldizione, pur di sfruttarne il potenziale.
Menzione a parte merita l’idea dei “mutanti”, simil-zombie così tramutati come metafora delle conseguenze dell’avidità che ha condotto tutti loro alla statua dorata. Le creature si annidano nel buio, condannate per l’eternità a un’esistenza misera. Sorte da Nate sfuggita perché a lui interessa la riuscita del ritrovamento del tesoro, non il tesoro in sé. Gli importa “l’impresa”.
Conclusione
Uncharted: Drake’s Fortune è un videogioco che segna il definitivo passaggio all’età “adulta” di Naughty Dog, contemporaneamente a quanto avviene per altre case rivali (come Insomniac, con Resistance, o Ubisoft, con Assassin’s Creed). Allo stesso tempo, segna la morte defintiva del genere platform nel panorama mainstream.
Le ambientazioni debbono essere realistiche e convincenti, così come la trama e il gameplay. E lo sono. In questo senso Uncharted schiude davvero tutte le potenzialità videoludiche di un prodotto realizzato con la tecnologia adatta, che poi verranno tutte riprese e, con gli anni, impiegate sapientemente nella realizzazione di The Last of Us.
Rispetto a quest’ultimo titolo, tuttavia, Uncharted si ferma un passo prima anche con i capitoli successivi. Se è vero che le storie sono intense e intriganti, in un certo senso è anche vero che Nate è sempre un po’ il figlio di Crash Bandicoot. Nei suoi giochi è sempre l’esperienza di gioco, più che la trama o la morale, a contare.
Una ragione di più per la quale Uncharted è un gioco godibile dall’inizio alla fine e pone le basi per uno dei migliori franchise del genere (avventura), proiettato verso il sicuro successo nel corso dei dieci anni successivi. E per Nate è solo l’inizio: ci sarà tempo per avventure ancora più assurde e ancora più avvincenti.
Uncharted: Drake’s Fortune | Testato su PlayStation 4