Il 28 maggio 2017 sugli spalti dello stadio Olimpico appare uno striscione, una frase scritta con inchiostro scuro su un tessuto bianco che recitava: Speravo de morì prima.
Il “prima” è proprio quel 28 maggio, il giorno in cui Francesco Totti, capitano della Roma, gioca la sua ultima partita, annunciando il suo ritiro dal calcio dopo un anno terribile passato sotto la guida sportiva di Luciano Spalletti.
Un periodo e un evento che è già stato al centro di un film, Mi chiamo FrancescoTotti, e che proprio Francesco Totti aveva raccontato nel libro Un Capitano. Da questo è stata tratta la miniserie andata in onda su Sky dal titolo Speravo de morì prima, che vede Pietro Castellitto ereditare il “ruolo” di Totti.
Speravo de morì prima, la trama
Composta da 6 episodi, Speravo de morì prima ha debuttato il 19 marzo e si è conclusa il 2 aprile 2021: in sei episodi, il regista Luca Ribuoli racconta il percorso di Totti verso la consapevolezza che la sua carriera da calciatore è prossima alla fine e che non potrà continuare a giocare.
Una discesa resa più veloce dal ritorno nella capitale di Luciano Spalletti (Gianmarco Tognazzi), che sembra avere con Totti dei conti in sospeso che lo rendono diverso dall’allenatore che con Totti aveva costruito un rapporto d’amicizia.
Sostenuto dai tifosi, dalla famiglia e dalla moglie Ilary (Greta Scarano) Francesco Totti attraverserà un campionato strano, a tratti umilianti, che si conclude con una delle pagine più sofferenti del tifo romanista.
Il trailer
Una serie che non si prende sul serio
Speravo de morì prima è una miniserie che sin dalle sue prime battute dimostra di non volersi prendere molto sul serio. L’atmosfera degli episodi è molto spesso fatta di goliardia e sbruffonaggini, di scene e guest star poste in bella mostra per fare, essenzialmente, ridere.
Questa scelta viene coadiuvata anche da una precisa scelta registica, che molto spesso chiama lo spettatore in prima persona, lo coinvolge con lo sguardo in macchina e la rottura della quarta parete.
Speravo de morì prima mette subito in mostra il suo artificio, il suo essere una “trasposizione”: racconta una storia vera, eppure sceglie di farlo mettendo in evidenzia la natura fittizia dell’opera stessa.
Il problema è che questo tenere, questo tono di voce scelto per il racconto, non si mantiene costante per tutta la durata: a momenti più apertamente (e volutamente) farseschi, come il cameo di Corrado Guzzanti, si miscelano momenti più drammatici, dove a venire a galla sono le fragilità di un uomo che una città intera ha eletto a divinità, a leggenda.
L’uso dei due registri finisce con il creare una realizzazione ibrida che tende però un po’ troppo alla confusione, come se Speravo de morì prima non avesse chiaro in testa cosa voglia raccontare, cosa voglia essere.
La sensazione che arriva allo spettatore è quasi quello di trovarsi davanti una parodia che, nel momento in cui si rende conto di spingere troppo in quel senso, torna su binari più “canonici” e drammatici. Come la proverbiale pezza da mettere dopo un errore.
Francesco Totti e Luciano Spalletti: la costruzione di un villain
Naturalmente uno degli aspetti su cui si è focalizzati maggiormente era proprio l’aderenza degli attori ai personaggi che avrebbero dovuto interpretare. Se Pietro Castellitto e Greta Scarano sono apparsi a volte troppo concentrarsi a voler “somigliare” a Totti e Ilary Blasi al punto da sfiorare l’imitazione, Gianmarco Tognazzi è convincente sin dalle prime inquadrature.
Uno degli aspetti più riusciti di Speravo de morì prima è la costruzione di Luciano Spalletti come un villain da cine-comic, un arci-nemico che tradisce il suo migliore amico per prenderne i poteri o, comunque, annullarne la dimensione quasi divina.
La narrazione procede dunque nella costruzione di un vero e proprio villain, un personaggio che cresce e si costruisce con pazienza, tassello dopo tassello, attraverso lo sguardo prima incredulo e poi sempre più arrabbiato di Francesco Totti.
Proprio perché la serie è raccontata dal punto di vista di Totti, il “secondo Spalletti” non può fare a meno di diventare il cattivo, un allenatore arrabbiato che, al contempo, si sente a disagio nell’affrontare una situazione che gli scappa sempre più di mano e che lo rendono forse uno degli allenatori più odiati della piazza giallorossa.
Ma l’interpretazione di Gianmarco Tognazzi è impeccabile: non tanto (o, comunque, non solo) per l’accento toscano che riesce a restituire, ma proprio per una prova istrionica che si fonda sugli sguardi, sulla postura del corpo, sul modo di tenere conserte le mani. È una prova fisica, fatta di muscoli tesi e pause studiate al minimo secondo: una prova che rappresenta il pregio maggiore della miniserie.
Speravo de morì prima, un’operazione non del tutto riuscita
Forte di una splendida colonna sonora e di alcune interpretazioni magistrali – Monica Guerritore e Giorgio Colangeli in primis – Speravo de morì prima rappresenta tuttavia un’occasione mancata. Una possibilità smarrita di creare una serie biografica incentrata su un personaggio contemporaneo che, a suo modo, ha fatto la storia.
Come già detto, la serie pecca di una commistione di generi che non sempre funzione e che a volta abbassa notevolmente il livello dell’intera operazione. Allo stesso modo, la recitazione a volte macchiettistica dei protagonisti mina la credibilità della storia che si vede sullo schermo.
È come se Speravo de morì prima fosse l’insieme di due narrazioni: quando lo spettatore sembra adattarsi a un registro, ecco che ne arriva un altro e così via. La possibilità di creare empatia, in questo modo, decade e rischia di avere la meglio una serpeggiante sensazione di fastidio.
Discutibile anche la scelta di far intervenire il vero Francesco Totti: sebbene questo aumenti l’impatto emotivo di chi guarda, la sensazione sembra essere quella di una mancanza di fiducia nel protagonista, come se certe cose potesse interpretarle solo Totti e Castellitto non fosse in grado o, peggio ancora, la produzione non abbia avuto il coraggio di mettere in scena anche il momento topico e centrale del racconto.