Nel 1976 Nino Manfredi riceve il suo primo e ultimo David di Donatello per la miglior sceneggiatura. L’attore romano scrive un film sagace, pungente e a tratti davvero spietato. Mette a confronto un ricchissimo ex ufficiale fascista, Cesare, pronto a sottomettere chiunque ai suoi piaceri con un musicista, e Marcello ricco di spirito ma dalle umili origini. I due si troveranno in una paradossale situazione al centro della quale sarà coinvolta anche Giulia, compagna di vita del secondo ma oggetto del desiderio del primo che, come la sua indole suggerisce, decide letteralmente di “comprarla”. Cesare infatti vuole mortificare Marcello, invitandolo nella sua lussuosa villa e offrendogli soldi per “liberare” la moglie dai vincoli matrimoniali, obbligandolo ad umiliarsi davanti anche al tribunale ecclesiastico per assolvere a questo compito. Tuttavia il fascista non ha ben chiaro chi ha di fronte.
Il personaggio di Marcello, interpretato dallo stesso Manfredi, è forse la cosa migliore che si possa trovare nella scrittura di questo film. Il musicista è un personaggio brillante, sempre con la battuta pronta e in grado di affrontare e surclassare il molto più ricco rivale con l’acume e la cultura. Egli riesce infatti a ribaltare una situazione di enorme sottomissione prendendo il controllo e uscendone alla fine, vincitore, soggiogando Cesare e mettendolo in imbarazzi davanti ad amici e compagni.
Numerose sono le citazioni ad opere letterarie, artistiche e storiche in un film nel quale Manfredi, pone tutta la sua cultura e che riesce a interpretare in maniera eccelsa. Note d’assoluto merito anche per il leggendario Eli Wallach, il “brutto” de Il Buono, Il Brutto e il Cattivo di Sergio Leone che, nei panni di Cesare, tira fuori una performance sopra le righe, esagerata e decisamente folle. Cosa che va perfettamente in contrasto con la pacata saggezza e furbizia del suo dirimpettaio.
Non un film riuscito al 100%, con diversi momenti davvero dimenticabili, ma la scrittura, specie nei momenti di contrasto diretto tra i due protagonisti, rende tutta la pellicola godibile e scorrevole con alcune scene di rimarchevole fattura.
In Nome del Papa Re di Luigi Magni, 1977
Nel 1978 Nino Manfredi porta a casa il suo ultimo David di Donatello con una performance da lasciare ai posteri. Secondo capitolo della Trilogia di Magni, questo In Nome del Papa Re racconta gli ultimi anni del potere temporale del Papa, poco prima della celebre breccia di Porta Pia, datata 20 settembre 1870.
Il nostro interpreta il Monsignor Colombo da Priverno, cardinale e giudice del tribunale ecclesiastico, oramai stanco del suo ruolo e pronto a ritirarsi a vita privata quando tuttavia la vita lo mette davanti al suo passato. 19 anni prima infatti, in una notte di passione, aveva concepito un figlio che sarebbe divenuto un ribelle rivoltoso contro la Chiesa e responsabile di un attentato per il quale lo aspetta la ghigliottina.
Il porporato si trova dunque a cadere in una crisi di fede ancor più profonda che lo fa vacillare tra la sua vocazione a Dio e le ultime ingiustizie compiute dalla Chiesa. La sua convinzione, già traballante, viene messa ancor più in difficoltà dal dover scegliere se condannare il suo stesso figlio o liberare segretamente lui, lasciando i compagni del giovane al boia. Mai come in quel momento, il Monsignore si trova a dover scegliere tra ciò che ritiene giusto e ciò che gli viene imposto.
Manfredi in questa performance è semplicemente perfetto, magnetico. Ogni momento nel quale lo troviamo in scena è rimarchevole, ogni battuta memorabile.
L’ironia tagliente che attraversa come sempre i suoi personaggi è palpabile, i siparietti che inscena con il suo perpetuo Serafino sono la linea comica che alleggerisce e accompagna un film dai risvolti così duri. La pellicola scorre in ogni momento grazie soprattutto al suo protagonista che tiene incollata ogni scena al suo immenso talento.
Il turbamento interiore del personaggio il suo allontanamento dai dogmi della Chiesa stessa sono i punti focali sui quali l’interpretazione regge e dove l’intera trama poggia. Il monologo col quale, in tribunale, mette a nudo tutte le ipocrisie di cui il potere cristiano si era macchiato è uno di quei momenti da rimanere impressi nella storia del nostro cinema. Una prova di bravura come poche altre ne troverete, garantito.
Conoscevate questi film dell’indimenticabile Nino Manfredi? Qual è il vostro preferito? Fatecelo sapere nei commenti.