1966: 10 capolavori da vedere regista per regista [LISTA]

Il 1966 è stato forse il maggior anno di piena del cinema. Vediamo come ogni regista della lista ha segnato la storia in quell'anno.

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Il volto di un altro – Hiroshi Teshigahara (1966)

The Face of Another" (1966), Directed by Hiroshi Teshigahara, by Jon Cvack  - Yellow Barrel

Ultimo ma non meno importante per questo 1966, ecco a voi un film inspiegabilmente sottovalutato, dal regista di La donna di sabbia (1964), candidato all’Oscar al miglior film straniero.

A causa di un incidente sul lavoro, il volto del signor Okuyama (Tatsuya Nakadai) rimane orribilmente sfigurato. Dovendo indossare delle bende per coprire le ustioni, l’uomo è ora visto con un misto di paura e compassione, anche dalla moglie (Machiko Kyō).

Per risolvere la propria situazione, Okuyama si rivolge al dottor Hira (Mikijirō Hira), che, abbandonata l’etica, acconsente ad aiutarlo con un metodo non ortodosso: tramite il volto una persona scelta a caso, il dottore può modellare una maschera dall’aspetto nuovo da applicare al paziente. L’operazione ha successo, tuttavia, a poco a poco, la maschera prende il controllo dell’identità di Okuyama…

Il tema principale è quello del doppio, che abbiamo già visto trattato in maniera differente in Persona e che tornerà in Lynch. Due sono le vicende, poiché a quella principale si affianca la storia di una ragazza sfigurata probabilmente dalla bomba atomica; ella appare un mostro agli occhi degli altri, ma in realtà è l’unica persona innocente in un mondo che la deride e la aggredisce.

Due sono le vite del protagonista, da bendato e con il nuovo volto; esse sono raccontate dal regista attraverso scene quasi identiche in cui Okuyama si mostra in entrambe le forme.

La più significativa è la doppia scena dell’acquisto di un appartamento (uno diverso dall’altro): stessi personaggi, stesse azioni, ma reazioni differenti, ossia paura di fronte alle bende e accondiscendenza in loro assenza. L’unica che si accorge della nuova identità dell’uomo è la figlia menomata del proprietario degli appartamenti, perché condivide la stessa condizione del protagonista.

Il bianco e nero sospende la storia tra reale e fantastico. Nel film sono presenti scene oniriche, come quella in cui una donna sdraiata su un letto vola tra i grattacieli di Tokyo. Inoltre, spesso irrompono alcuni fermi immagine a frammentare i tempi della narrazione.

Il regista e il direttore della fotografia, Hiroshi Segawa, utilizzano in modo peculiare le luci, in particolare nella seconda scena del bar: quando Okuyama racconta all’altro il suo piano, ecco che cala l’oscurità e solo i due personaggi sono illuminati.

L’allucinata e inquietante colonna sonora di Toru Takemitsu instaura un clima di tensione che pervade tutto il film. Il picco stilistico è, comunque, raggiunto nello splendido finale, probabilmente omaggiato da Pink Floyd The Wall del regista Alan Parker (1982).