5 Film da vedere alla scoperta di Spike Lee [LISTA]

La nostra guida alla scoperta filmografia di Spike Lee.

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Solo pochi giorni fa l’annuncio ufficiale del Festival de Cannes: Spike Lee sarà ancora il Presidente della Giuria. Era già stato designato per l’edizione 2020, cancellata a causa della pandemia. Ma d’altra parte, quella che lega la Croisette e Spike Lee è una passione di lungo corso.

Il regista di Brooklyn ha presentato proprio a Cannes, nel lontano 1986, il suo film d’esordio: She’s Gotta Have It (Lola Darling) vincendo il Prix de la Jeunesse. L‘enfant terrible partirà così alla conquista della scena internazionale, dopo aver girato svariati cortometraggi e una leggendaria tesi di laurea.

La tesi firmata da Spike Lee per la New York University era in effetti un vero e proprio lungometraggio: Joe’s Bed-Stuy Barbershop: We Cut Heads. Presentato nel 1983 al Festival di Locarno, aveva letteralmente sbaragliato la concorrenza, vincendo il Pardo d’oro come Miglior Film.

Quel piccolo Gangster Movie, girato nella vera barberia frequentata da Spike Lee, così come i primi corti, avevano già consolidato la sua fama nella scena Underground newyorkese. La cinematografia indipendente aveva trovato una nuova stella. E per la prima volta, si trattava di un filmmaker nero.

Essere un uomo di cinema, un cineasta newyorkese e afro-americano: resteranno essenzialmente queste le credenziali di Shelton Jackson Lee, nato ad Atlanta, in Georgia, il 20 Marzo di 63 anni fa.

La volontà di fotografare la cruda verità della comunità nera di Brooklyn, delle periferie, i ghetti e i sobborghi dell’America intera, insieme al suo intuito cinematografico, sono evidenti fin dagli esordi. Basti pensare che il fonico nel Barbershop era uno studente di nome Ang Lee.

I protagonisti del suo secondo film, The Messenger, erano altri due talenti ancora misconosciuti: Lawrence Fishburne e Giancarlo Esposito. Nel 1984, molto prima di Breaking Bad (e che il mondo intero si innamorasse follemente dei suoi villain) Spike Lee aveva già scelto Giancarlo Esposito come uno dei suoi attori di riferimento.

The Messenger incontrerà innumerevoli difficoltà produttive. Quando il film viene sospeso, Spike Lee pensa seriamente che la sua folgorante carriera sia già bruciata. Ma grazie all’irriverente “Commedia molto sexy”, She’s gotta have it, le cose prenderanno tutt’altra piega.

Il ragazzo degli esordi è molto diverso dall’autore che conosciamo oggi. È un filmmaker nel senso più moderno del termine, che concepisce il cinema solo in termini totalizzanti, come sceneggiatore, produttore, interprete, regista e montatore di ogni suo singolo film.

È anche tra i primissimi filmmaker americani a sperimentare quella che viene definita “Estetica da videoclip”. L’utilizzo narrativo dell’Hip-hop (e della musica in genere), dei primissimi piani, i dettagli ravvicinati, la struttura del montaggio più vicina all’action painting che alla tradizionale consequenzialità lineare.

Sono questi i trademark del ragazzo terribile. Tratti che oggi ci sembrano ampiamente familiari, ma che alla fine degli anni ’80 erano ancora fortemente sperimentali, per non dire scandalosi. Era impensabile, infatti, che l’arte cinematografica potesse sperimentare le stesse tecniche della pubblicità o di MTV.

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Impensabile era anche, ovviamente, che i “ragazzi di strada”, i nigger di Brooklyn o qualunque altro ghetto potessero effettivamente occupare il grande schermo, portare la loro verità al Cinema, conquistando i Festival di mezzo mondo e perfino il successo commerciale.

Spike Lee ha dovuto difendersi quasi fosse un terrorista. Inizialmente l’accusa era essere un regista più abile con la propaganda che non la macchina da presa. Poi, nell’arco della sua lunga carriera, ha saputo rendersi protagonista di ogni sorta di polemica.

Attivista instancabile, sempre in prima linea contro il razzismo sistemico, la discriminazione e la violenza nei confronti della comunità afro-americana, una volta raggiunto l’apice del successo, sarà accusato da una parte di quella stessa comunità di aver svenduto i propri ideali, fornendo un’immagine distorta.

Il regista entrerà pubblicamente in conflitto con la Nation of Islam. Ma lo scontro polemico più celebre e infuocato sarà forse quello con Quentin Tarantino. La pietra dello scandalo è proprio la parola fatica: nigger, che nella comunità afro-americana è ormai praticamente un intercalare.

I giovani afro si sono riappropriati di un insulto razzista, riportandolo al loro gergo di strada. Ma un conto è che lo usino tra loro. Diverso sarebbe il diritto di un regista bianco, Quentin Tarantino, di riempire le proprie sceneggiature e i suoi film con la parola nigger.

La risposta di Tarantino non si farà attendere, e sarà il film Jackie Brown. Il termine incriminato è stato contato e pare risuoni oltre 70 volte. Ma, in compenso, sempre nel 1996, i due registi finiranno per fare la pace a modo loro, sul set del film Girl 6 – Sesso in linea.

Si tratta di uno dei più clamorosi insuccessi critici e commerciali della carriera di Spike Lee. Carriera quanto mai altalenante, capace di alternare sistematicamente successi epocali e nuove sfide, tra cui svariate prove forse un po’ troppo ardite, forse oggettivamente poco riuscite.

La verve provocatoria e polemica porterà comunque sempre Spike Lee verso scelte controverse. Difficile perdonargli, ad esempio, Miracolo a Sant’anna (2008), film condannato pubblicamente dall’ANPI per la sua rilettura totalmente distorta della Resistenza partigiana in Italia.

Altri non gli perdoneranno i documentari dedicati all’amico Micheal Jackson, altri ancora il remake di Oldboy (2013) con Josh Brolin e Sharlto Copley. Qui trovate le nostre recensioni di BlacKkKlansman, che nel 2018 gli vale finalmente un Oscar per la Migliore sceneggiatura non originale.

E poi quella del più recente Da 5 Bloods, disponibile su Netflix, uno di quei famigerati tentativi che non risultano proprio centrati. Quindi è il momento di passare a loro, Da 5 Films. Le cinque opere che hanno davvero segnato un’epoca.

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5 Film da vedere alla scoperta di Spike Lee

Fa’ la cosa giusta (Do The Right Thing), 1989

Fa la cosa giusta
Fà la cosa giusta (Do the Right Thing) di Spike Lee, 1989

Nel 1989 Fa’la cosa giusta (Do the right thing) esplode come un caso senza precedenti. Se pochi registi avevano portato sul grande schermo le vere strade di Brooklyn, la realtà della sua comunità afro-americana, nessuno aveva mai accusato esplicitamente la polizia di uccidere ragazzi neri senza ragione.

L’assassinio di Rodney Smith, che innescherà le rivolte di Los Angeles del 1992, non è ancora avvenuto. Meno che mai quello di George Floyd, datato 25 Maggio 2020. Eppure, anche in questo film c’è un ragazzo ucciso “accidentalmente” per soffocamento: Radio Raheem, interpretato do da Bill Nunn.

La forza di Fà la cosa giusta è però iniziare come uno strambo mash-up tra videoclip e situation comedy. Aprire sulle note (e il testo) di Fight The Power dei Public Enemy, destinati a diventare proprio grazie al film una delle formazioni di punta dell’inarrestabile nuova ondata Hip-Hop.

Faremo così il nostro ingresso in un rovente giorno d’estate. Al centro della trama c’è la Pizzeria italiana di Sal (Danny Aiello), luogo di ritrovo per i ragazzi afro-americani, con buona pace di suo figlio Pino (John Turturro), perfetto stereotipo dell’italian-american razzista e attaccabrighe.

Brooklyn si mostra in realtà come un coacervo di reietti e perdigiorno, gente allo sbando, gente che cerca di tirare avanti. Ci sono i neri e gli italiani, i latini e i coreani, tutti sempre pronti a insultarsi, gridarsi in faccia le ingiurie e i cliché razzisti più vari.

E poi c’è la polizia che, possibilmente, disprezza tutti quanti. Così questo videoclip fatto di volti, parole, scontri, piccole storie, musica martellante e inquadrature distorte, comincia ad assumere progressivamente i contorni del dramma. E quando la violenza verbale diventa fisica, si trasforma in rivolta.

Il film si chiuderà su due lunghe citazioni. Una appartiene a Martin Luther King, ricorda come la brutalità non possa che annichilire sia gli aggressori che le vittime.La seconda invece è di Malcolm X. Rivendica il diritto alla violenza, in caso rappresenti una semplice forma di auto-difesa.

Forse si tratta di due idee incompatibili, ma a distanza di oltre trent’anni la questione resta evidentemente aperta. Il film di Spike Lee, Fa’ la cosa giusta, resta comunque un cult insuperato.

Un cult che, tra l’altro, può vantare diversi fan illustri. Si racconta infatti che Bararck e Michelle Obama nel corso del loto primo fatidico appuntamento abbiano visto proprio questo film.

Per farvi un’idea, trovate Do the right thing in streaming su Netflix.