Adesso vuole farsi chiamare “Signor Ghemon”? E Signor Ghemon sia.
Meno di un anno fa, Ghemon ci comunicava a gran voce di aver cambiato vita con il disco Scritto Nelle Stelle. Era al settimo cielo, da non credere che si potesse essere così felici all’alba dei quarant’anni! E non vederlo invece come il tramonto dei trenta, la fine del decennio nel quale puoi fingerti ancora giovane senza diventare ridicolo, o senza prendere precauzioni e allontanarsi dal mondo che divide in “giovani” e “adulti”… Però così era scritto, e così doveva essere. Che colpa ne ha ad essere felice?
Quest’anno è riuscito a portarsi a Sanremo, anziché portare Sanremo nel suo studio; Rose Viola, presentata a Sanremo 2019, dava l’impressione di un passaggio obbligato. E c’è chi giura di aver sentito Ghemon in persona ammettere che quel pezzo gli pesa addosso come un macigno…
Sapevamo benissimo che dopo il Festival sarebbe uscito l’album, come da tradizione per ogni artista in gara. Siamo abituati a tempi di composizione ben più lunghi: tre anni, dal 2017 al 2020, nei quali Ghemon ha curato la depressione sotto il cui peso aveva scritto il disco Mezzanotte, culminati con il già citato Scritto Nelle Stelle.
Con una punta di malignità, all’annuncio del secondo disco in meno di un anno si sarebbe potuto pensare che insieme alla depressione sia scomparsa anche la capacità di scrivere brani elaborati. Però non è possibile che uno non possa essere felice per due dischi di fila! …Forse…
E Vissero Feriti e Contenti esce il 19 marzo 2021. Ghemon è in copertina con il gattone sulla spalla e l’espressione seria di chi sa quello che sta facendo. La mente corre subito al confronto con la copertina dell’album precedente, e ad ognuno le proprie conclusioni.
Ghemon ha un dono raro: rendere tutto “pop”, e quindi fare pop intelligente.
Immediatamente balza all’orecchio la capacità di Ghemon di approcciarsi liberamente alle melodie giuste: colonne della nuova fase musicale dell’artista di Avellino, ma sue migliori amiche dall’inizio della carriera. Sfrutta il suo innato dono di rendere “pop” (nel miglior senso possibile) ogni sequenza di note per costruire i brani senza troppe strutture prefabbricate. Su linee ritmiche meno solide del tappeto di archi sanremesi si muovono sia Momento Perfetto, che è effettivamente finito a Sanremo, sia i groove speziati di Nel Mio Elemento, Non Posso Salvarti, Puoi Fidarti Di Me.
Fra gli esperimenti è immediatamente riconoscibile il reggae di Difficile, tenuto a bada dalla voce di Ghemon. La Tigre osa ancora di più, costruito come un brano afrojazz e con l’interessante arricchimento delle trombe. Piacevolissimo e ammirevole il lavoro fatto su ogni genere musicale presente nel disco, una caratterizzazione che si esprime nei dettagli (l’organo all’inizio di Difficile, le chitarre in Puoi Fidarti Di Me). Necessario per impedire che la voce di Ghemon, altrettanto caratteristica e riconoscibile, prevalga sulle melodie appiattendo i quarantuno minuti di ascolto. Anche il funk levigato e il soul educato, che sono la comfort zone di Ghemon, non danno la fastidiosa sensazione di essere solo accennati, infilati in un minestrone piatto.
Puoi Fidarti Di Me l’abbiamo già citata due volte, ma è davvero una sorpresa in questo disco. Un beat da West Coast con dei cori magnifici nel pre-chorus senza strumenti, e un gran lavoro di rifinitura alla chitarra come in K.O., uno dei migliori brani di Ghemon da tre anni a questa parte.
Bilancio positivo, ma non è soltanto un esame superato.
Nessuna svolta incredibile nelle parole che Ghemon mette nei suoi pezzi, salvo qualche passaggio che per analogia con l’arrangiamento si fa più raffinato. E sempre per analogia alcuni arrangiamenti decisamente scontati sono affiancati ad alcune cadute di stile e banalità, come in Infinito, ma il bilancio generale è positivo.
Si assestano quasi tutti sulla tranquilla piega auto-motivazionale, spruzzata ad arte di dubbio metodico relazionale, una spinta per mettere in dubbio l’equilibrio; dopo il secondo interludio Illusione Ottica l’inquieta Trompe L’Oeil e l’eterea (per analogia) Sparire, il momento di massima oscillazione della stabilità. Ma l’ha detto lui stesso che nelle canzoni non riesce a far ridere.
È un album nel quale non si avvertono né la disperata urgenza della catarsi (e questo era chiaro da un po’) né l’euforia ingenua per la nuova vita. Ghemon punta tutto sulle melodie e si può permettere di curare il testi quanto basta per non farli risultare insignificanti; tanto, per quanto possano essere difficili le parole, ogni canzone ti entra in testa. Il termine “canzone” non è casuale: evoca un prodotto musicale bene o male ad alto grado di ascoltabilità, ma non un tormentone.
Ghemon non ha perso la capacità di scrivere, sembra aver cambiato focalizzazione e aver mosso un altro passo sul cammino del soul italiano; il passo sicuro e saldo dell’artista maturo, che difetta di rischi clamorosi ma intanto si fa ascoltare, e chissà dove può andare a finire… Per adesso, possiamo goderci un gran disco pop.