Le vicende della serie sono ambientate in un surreale mondo futuristico. In apertura facciamo la conoscenza di un ragazzo, che si risveglia senza alcun ricordo di sé né del proprio passato. Osservando il proprio corpo nota tre elementi: un pendente con la foto sfocata di una ragazza, un buco all’altezza del petto e uno strano disegno poco sotto. Poco dopo, alcune creature ostili cercano di ucciderlo, costringendolo alla fuga…
Kaibaè l’opera più complessa di Yuasa, soprattutto per la notevole quantità di temi trattati. Balza subito all’occhio quello della disuguaglianza sociale, in quanto i ricchi abitano in maestosi e sicurissimi grattacieli, mentre i poveri nei pericolosi bassifondi; a dividere i due ceti è una fitta coltre di nuvole invalicabili.
La contrapposizione tra corpo e anima e la memoria sono, però, i temi principali: non a caso Kaiba in italiano si traduce con “ippocampo” (vi dice nulla?). Avvalendosi di un microchip, ogni personaggio può innestare i propri ricordi all’interno di un altro corpo per continuare a rimanere in vita. Durante il passaggio è possibile rimuovere i brutti ricordi e conservare solo i migliori. Ma, ovviamente, tale pratica è appannaggio esclusivo dei ricchi, che spesso sfruttano i corpi dei più poveri.
Vengono anche toccati temi come quelli dell’identità sessuale e la perdita di valori. Infatti, il protagonista, quasi subito, è costretto a cambiare corpo per sfuggire agli aggressori, entrando in quello di una ragazza in età prepuberale: ad un certo punto, il corpo della donna mostrerà i sintomi del ciclo mestruale, nonostante ora esso sia occupato da un maschio.
La perdita di valori è, invece, ravvisabile nella famiglia del faro: l’innocente amore dei due nonni è contrapposto al forte materialismo dei nipoti.
Un altro tema degno di nota riguarda i pericoli del progresso tecnologico, in aumento con la sempre maggior diffusione dei social network. Sul pianeta Lolo, infatti, è ubicato il più grande contenitore di ricordi di vivi e morti; la sua funzione è quella di alimentare l’energia di un parco divertimenti. Tale serbatoio è rappresentato come un gigantesco computer su cui è possibile vedere i ricordi di tutte le persone cui appartenevano: chiaro il riferimento alla spersonalizzazione e alla perdita totale di privacy nella rete.
Stilisticamente, la serie è piuttosto differente dalla precedente. Le personalità e i disegni dei personaggi elaborati da Yuasa sono molto fanciulleschi e ricalcano esplicitamente Astro Boy di Tezuka Osamu (1952-1968), un manga di formazione. Il contrasto dei disegni con le tematiche per adulti, quindi, spiazza completamente lo spettatore. Gli sfondi appaiono, come di consueto, a volte abbozzati e a volte dettagliati.
La regia di Yuasa Masaaki lascia di nuovo il segno, soprattutto in alcune scene: mentre i due nonni al faro ripercorrono il loro passato amoroso, la loro voce varia da giovane ad anziana a seconda dell’età che ricordano; le memorie legate a due personaggi vengono visualizzate su un muro con ombre cinesi realizzate da una pianta; la vita di Chroniko, la ragazza di cui il protagonista prende il corpo, è raccontata mentre la madre suona al piano la melodia ricorrente dell’anime.
The Tatami Galaxy (2010) – 11 episodi + 1 special
Durante una cena in un banchetto di ramen, un ragazzo senza nome è avvicinato da uno strano uomo che afferma di essere una divinità. L’incontro scatena nel protagonista un’onda di ricordi legati al primo anno di università, costellati di personaggi bizzarri e situazioni a dir poco assurde.
Tratta dal romanzo omonimo di Morimi Tomihiko (2004), si tratta dell’opera più comica di Yuasa, che, con l’autore del libro, ripercorre la propria gioventù. Tra le fonti della storia bisogna, però, citare anche il mito di Icaro e la Metamorfosi di Kafka (1915), tutt’altro che goliardiche.
Balza subito all’orecchio l’estrema velocità con cui il protagonista-narratore racconta e commenta i fatti, chiara rappresentazione del flusso di coscienza, caotico e incontrollabile. La mancanza di nome e di talenti particolari nel protagonista agevola l’immedesimazione da parte dello spettatore, che vede racchiuse in lui le proprie debolezze.
Anche la vista viene subito rapita dagli sgargianti sfondi surreali, che ricordano l’arte del periodo Edo (1603-1868), ripresa anche dall’anime Mononoke (2007). Gli alberi in fiore sono stilizzati, ma l’essenzialità dello stile si discosta dagli altri lavori di Yuasa, restituendo un prodotto diverso dal solito. Nella sigla iniziale e nella stanza del protagonista è utilizzata la tecnica mista.
La serie, attingendo a piene mani al surrealismo, è una parodia alla società universitaria giapponese, segnata nella finzione da oscure brigate e organizzazioni di vigilanza. Vediamo il protagonista iscriversi a diversi club, ma un bizzarro personaggio, Ozu, ostacola ogni suo passo al loro interno. Ozu è disegnato come un mostro, come una proiezione negativa del protagonista, e forse lo è anche il personaggio della fattucchiera.
Anche gli altri personaggi sono caratterizzati in modo eccentrico, soprattutto Higuchi, la “divinità” che si presenta all’inizio della serie. Poi c’è Akashi, la studentessa che il protagonista cerca di conquistare, fredda e solenne finché non vede le falene, inscenando imbarazzanti teatrini; inoltre, la ragazza non si separa mai dai suoi mochiguman, dei pupazzi che ricordano la mascotte Maromi di Paranoia Agent (2004) di Kon Satoshi.
Sul podio dei personaggi eccentrici dell’anime dobbiamo collocare anche Jōgasaki, club del cinema Misogi, che ha una relazione con una bambola.
Yuasa Masaaki, come di consueto, impiega peculiari scelte registiche votate all’assurdo. Un esempio è la scena in cui, durante una cena, Higuchi afferra la luna con le bacchette, la butta nel piatto e la beve.
Anche l’utilizzo del colore è particolare, come vediamo nel quinto episodio: durante la scena dello sfogo collettivo, un filtro giallo copre i personaggi e l’ambiente, ma chi urla è colorato in modo vistosamente diverso. Inoltre, non mancano giochi di luci e ombre, che caratterizzano, per esempio, la scena dell’acquisto di uno spazzolone da un losco individuo.
Infine, anche la colonna sonora è interessante. L’intro è spensierata come l’outro, ma più energica, mentre le altre tracce variano da melodie arabeggianti a malinconiche. Ma la musica raggiunge il picco di solennità nei due episodi finali, che daranno una spiegazione al titolo della serie.
The Tatami Galaxy è attualmente disponibile nel catalogo di Netflix.