Classe 1965, Yuasa Masaaki comincia la sua carriera come animatore di alcune serie animate, tra cui Shin Chan (1992), sbarcata con successo anche in Italia. Collabora, inoltre, anche alle animazioni del lungometraggio I miei vicini Yamada (1999), del compianto maestro Takahata Isao. Nello stesso anno, Yuasa realizza il suo primo cortometraggio da regista e scrive e dirige Vampiyan Kids, pilot della serie I Vampiriani – Vampiri vegetariani.
La fama arriva nel 2004, quando Yuasa scrive e dirigeMind Game, ispirato liberamente all’omonimo manga di Robin Nishi. Il film ha fatto incetta di premi, battendo al “Japan Media Arts Festival” 2004 Il castello errante di Howl di Miyazaki Hayao (2004); enorme successo ottenne anche al Fantasia International Film Festival, in Canada, grazie al quale Yuasa si fece conoscere anche in Occidente.
Reduce dal buon successo, a partire dal 2006 Yuasa inizia a dirigere serie animate, occupandosi a volte anche della sceneggiatura di uno o più episodi. Senza smettere con le collaborazioni, il regista ha anche realizzato tre lungometraggi: The Night Is Short Walk on Girl, Lu e la città delle sirene (entrambi del 2017) e Ride your wave (2019).
Recentemente, Yuasa Masaaki è tornato su Netflix con la serie animata Japan Sinks: 2020 (2020), adattamento del romanzo Nihon Chinbotsu (“Il Giappone sprofonda”, 1973) dello scrittore di fantascienza Sakyō Komatsu. Ma si tratta solo dell’ultima di una fortunata serie di anime che hanno profondamente segnato la storia dell’animazione nipponica e non.
Kemonozume (2006) – 13 episodi
Nell’antichità, un ragazzo rapì una ragazza destinata al sacrificio e scappò via. Entrambi andarono incontro al castigo divino: i loro discendenti sarebbero stati mostri affamati di carne umana. Tuttora essi, chiamati “shokujinki” (“mostri divora-umani”), vivono in mezzo agli umani, di cui portano le sembianze.
Per sterminarli, è nato l’ordine dei “Kifūken” (“spada sigilla-mostri”), di cui fa parte il protagonista, Toshihiko Momota. Un giorno, il ragazzo conosce l’attraente paracadutista Yuka Kamitsuki e i due cominciano una relazione. Ma lei è uno dei mostri…
Kemonozume, traducibile con “artiglio di fiera”, è una dichiarazione poetica dello stile di Yuasa. I disegni appaiono meno abbozzati di Mind Game, ma comunque rimangono molto essenziali e verranno ripresi da quasi tutte le successive serie del regista (salvo Kaiba).
Inoltre, Yuasa ama particolarmente le storie in bilico tra commedia e dramma, oltre ad elementi bizzarri: esempi sono la scimmia e l’antagonista principale, disegnati in modo caricaturale e surreale, oltre al mastodontico detective.
Lo stile sperimentale raggiunge il picco negli ultimi due episodi, il primo per l’uso della tecnica mista, mentre il secondo per l’esplosione di luci. In generale, l’anime tende allo splatter, ma il sangue di colore verde ne attutisce l’efferatezza. Diverse scene di nudo, infine, raccontano i momenti più intimi dei personaggi, legandosi all’elemento della suspense: la ragazza si trasforma in mostro quando prova forti emozioni, rischiando di dilaniare il partner.
Yuasa Masaaki decide di fondere tradizione e modernità nel raccontare la storia. I guerrieri seguono il bushidō, sono molto legati alla propria tradizione e non intendono rinnegare i propri valori. Quando si allenano, indossano un distinto kimono, mentre si vestono da samurai guerrieri quando escono in missione. Ma durante le riunioni, sono tutti vestiti in modo casual e si dimostrano avvezzi a ogni forma di progresso e di tecnologia.
Curiosa l’impetuosa sigla d’apertura della serie, Auvers blue della swing/jazz-band giapponese Katteni Shiyagare. Il testo parla di un mare in tempesta e il ritornello, da cui il titolo, riporta al dipinto La chiesa di Auversdi Van Gogh. Il tenebroso blu del cielo del dipinto incombe sull’edificio, presagio di calamità: il collegamento con le vicende di Momota e Kamitsuki è molto azzeccato.