Il film nasce da una lunga e travagliata produzione e segna la fine della collaborazione tra Jean-Pierre Melville e Jean-Paul Belmondo.
Dopo una sconfitta, il pugile Michel Maudat (Belmondo) si ritrova disoccupato e senza soldi. Dovendo trovare un nuovo impiego, decide di rispondere all’annuncio del banchiere Dieudonné Ferchaux (Charles Vanel): l’uomo è in cerca di un segretario disposto ad accompagnarlo a New York per ritirare i soldi depositati sul suo conto in banca.
Il motivo? Molto semplice: la sua banca sta fallendo, quindi intende appropriarsi del suo denaro e vivere da latitante. Tuttavia, durante il viaggio, Ferchaux si ammala…
Primo film a colori di Melville, è più un film avventuroso che noir, anche se la trama è perfettamente ascrivibile al secondo genere. Torna Henri Decaë, che si dimostra a suo agio con la fotografia a colori, motivo per cui il regista gli affiderà in seguito altri suoi lavori importanti.
Fa un piccolo cameo nei panni di un’autostoppista l’attrice italiana Stefania Sandrelli, reduce tra gli altri dal successo di Divorzio all’italiana di Pietro Germi (1961).
Come il precedente, il film attinge a piene mani all’hard boiled: il protagonista è duro e solitario; il suo rapporto con le donne è conflittuale; la rappresentazione della violenza è realistica (pensate alla scena dell’assalto finale).
Tutte le ore feriscono… l’ultima uccide (Le deuxième souffle) – 1966
Il film segna, inoltre, il passaggio definitivo del cineasta dal noir al polar.
Altro picco della filmografia del regista francese, Le deuxième souffle vanta un altro nome illustre del noir, quello di Lino Ventura. La fisionomia dell’attore-lottatore italiano, il suo sguardo freddo, distaccato e spietato, ma anche il suo buon cuore sono ormai diventati iconici.
Ventura interpreta il criminale Gustave “Gu” Minda, che dopo dieci anni riesce a evadere dal carcere. Sulle sue tracce si mettono due ispettori antitetici: l’onesto e posato commissario Blot (Paul Meurisse) e il corrotto e violento ispettore Fardiano (Paul Frankeur). Ha inizio un intricato groviglio, alimentato dalla sete di Minda per il denaro, che lo porta ad organizzare una pericolosa rapina a un portavalori…
Le deuxième souffleè girato interamente in bianco e nero, con la meravigliosa fotografia di Marcel Combes. Significativa è la scena della rapina al portavalori, girata in una giornata di sole su ambiente sterrato: i colori contrastano con le nere figure dei rapinatori e dei poliziotti, il montaggio è frenetico e lo zoom è impiegato massicciamente; il senso di spaesamento, già studiato con le panoramiche, è ora portato all’estremo.
Il film ha ispirato Heat – La sfida di Michael Mann (1995).
Frank Costello faccia d’angelo (Le samouraï) – 1967
Veniamo ora a quello che senza ombra di dubbio è il capolavoro assoluto di Jean-Pierre Melville, nonché uno dei migliori film di tutti i tempi. L’opera ha ispirato, tra i tanti, The Killer di John Woo (1989) e Ghost Dog – Il codice del samurai di Jim Jarmush (1999).
Le Samouraï vanta la prima collaborazione tra Alain Delon e il regista, che, salvo il film successivo, durerà fino alla fine della carriera del secondo. L’ispirazione è il Bushido, il codice dei samurai: il protagonista sembra un samurai, solo come la tigre nella giungla.
Jef Costello (Alain Delon), Frank nell’edizione italiana, ha appena commesso un omicidio su commissione. Abile calcolatore, subito dopo il crimine si costruisce un alibi di ferro. Tuttavia, una donna era presente sulla scena del delitto e ha visto tutto, ma, quando viene convocata dalla polizia, non riconosce l’uomo.
L’ispettore (François Périer), però, non si dà per vinto, facendo pedinare ogni movimento di Jef. Sulle sue tracce si mettono anche i mandanti dell’omicidio, che temono di essere presi dalle forze dell’ordine. Jef comprende quindi di essere braccato da ogni parte…
Le Samouraï vede il ritorno di Henri Decaë, che firma una fotografia perfetta per seguire la fuga di Costello dai suoi cacciatori. Le inquadrature sono quasi tutte lunghe e teatrali, pochi i movimenti di macchina, tranne nell’inseguimento in metropolitana. Esso, molto frenetico e carico di tensione, rappresenta il punto più alto del film.
Il finale, come ormai di consueto per i film di Melville, è indimenticabile.