Lucio Fulci, alla scoperta del Cinema di un Genio dimenticato

Un breve viaggio nel cinema del grandissimo Lucio Fulci.

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Del Terrore Della Morte: il capolavoro di Fulci

Solo un anno dopo, Lucio Fulci dà il via a quella che viene ricordata oggi come Trilogia della Morte (o del Terrore). Un trittico di film che si apre con Paura Nella Città dei Morti Viventi, ampiamente omaggiato da Quentin Tarantino nel suo Kill Bill Vol. 1. Tutti ricordiamo il primo piano di Gogo Yubari mentre lacrima sangue dopo la violenta lotta con la Sposa. Ebbene, proprio quella scena rimanda inevitabilmente al secondo film del periodo horror di Fulci.

Breve parentesi. Nella sceneggiatura originale, Tarantino scrive che la Sposa si alza come “uno zombie dei film di Fulci. Tanto dovrebbe bastare per far capire l’importanza che lo stesso Fulci ha avuto per il genio del regista di Knoxville.

Tornando al nostro film: ci troviamo insieme ad un giovane Michele Soavi che amoreggia in macchina con Daniela Doria. L’atmosfera erotica viene subito spezzata dall’inquietudine della donna e soprattutto dall’arrivo del fantasma di Padre Thomas.

Uno sguardo, un controcampo ed ecco che Rosie inizia una brutale trasformazione. Gli occhi iniziano a sanguinare, gli intestini ad uscire fuori dalla sua e bocca. E poi, trasformata in uno zombi, estirpa il cervello dell’amante con le sue mani.

paura nella città dei morti viventi
Gli occhi sanguinanti in Paura Nella Città dei Morti Viventi

Limitarsi a raccontare cotanta ferocia non rende giustizia a quanto diretto da Fulci. La ferocia, il sadismo e la morbosa violenza diventano un vero e proprio fil rouge consolidato e portato avanti nel capitolo successivo di questo trittico, L’Aldilà. Un film idealmente collegato al primo solo per la tematica delle “porte dell’Inferno”.

Titolo completo: …E Tu Vivrai nel Terrore! – L’Aldilà. Un film che lo stesso Fulci rivendica orgogliosamente come “artaudiano“, riprendendo l’aggettivo con cui Moravia definì il primo western del regista romano. Un film anarchico, che si estrania dal reale così come il teatro dell’assurdo di Artaud. Crudele e violento, privo di un finale positivo dove permane la contrapposizione tra sovrannaturale e scienza, in cui quest’ultima è costretta a piegarsi.

Non è un caso infatti che molti dei protagonisti degli horror targati Fulci siano uomini di scienza destinati ineluttabilmente a soccombere. Non esiste cura contro il “virus” del voodoo che riporta in vita i morti in Zombi 2, non esiste razionale spiegazione neanche per quelli de L’Aldilà. In altre parole, non c’è nulla da fare, una semplice frase che riassume i finali del periodo horror.

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l'aldilà, finale, lucio fulci
Il terrificante finale di L’Aldilà

Un urlo su un fermo immagine apparentemente felice nel primo film, una discesa negli inferi durante una fuga in luoghi che somigliano ad un quadro di Escher (come sottolinea Davide Pulici nella sua accurata analisi de L’Aldilà), una fuga da un’isola maledetta, piena di non-morti ma che porta alla scoperta di un mondo ormai devastato dagli stessi in Zombi 2.

Unica “eccezione”, la “gioia” familiare finale nel suo horror più lineare, terzo e ultimo capitolo, Quella Villa Accanto Al Cimitero. Virgolette non casuali per evitare spoiler a chi ancora deve farsi cullare dal Dottor Freudstein.

Il pessimismo lovecraftiano è solo uno dei tanti omaggi di un autore che Lucio Fulci ha sempre ammirato, insieme a Poe. Non esiste speranza, non esiste linearità narrativa ma c’è eccome la volontà di devastare un occhio, con un movimento al rovescio rispetto a Zombi 2. A farne le spese, ne L’Aldilà, è la domestica dell’hotel infame, spinta contro un chiodo che le fa schizzare l’occhio dall’orbita.

E ancora, la vista che sparisce dai due protagonisti una volta compiuta l’involontaria catabasi. Un primissimo piano sui loro occhi bianchi ma che trasmettono l’angoscia di chi si trova acciecato nell’Aldilà. Lasciate ogni speranza, dunque, il lieto fine non appartiene a Lucio Fulci. Ogni possibilità umana sarà sempre soggiogata a quella sovrannaturale del male.

Ritorno al Giallo

Emblematico come questo pessimismo permei anche i suoi gialli, contaminati dall’horror e dalla ferocia. Basti pensare a Lo Squartatore di New York, primo ritorno al genere dopo la meravigliosa parentesi horror, in cui la violenza viene mostrata senza inibizioni di sorta. Moltissime le sequenze che mostrano una certa brutalità, a partire da una delle più famose.

Una spogliarellista incastrata nel suo camerino, una luce verde domina la fotografia firmata Kuveiller e Marconi. L’assassino con la voce di Paperino aggredisce la sventurata con un collo rotto di bottiglia, colpendola ripetutamente. Nulla di che se non fosse per il fatto che la spogliarellista viene brutalmente accoltellata nel suo sesso, in una serie di controcampi e soggettive da brividi che posizionano la macchina da presa sull’arma prima e sulla vagina poi.

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Il primissimo piano è un espediente tecnico che caratterizza il cinema di Fulci, strumento perfetto per amplificare la ricerca di una morbosità perfetta e senza freni inibitori. Tanto nelle scene di violenza, quanto in quelle erotiche, accomunate proprio dall’ossessività dello sguardo.

Rimanendo nella New York dello Squartatore, infatti, si possono notare i suddetti primissimi piani anche in una scena dall’alto tasso erotico ma anche “maniacale”. Occhi e bocche di due uomini e una donna inquadrati meticolosamente mentre avviano un gioco in un bar, atto ad eccitare prima e umiliare poi la donna in questione.

La stessa donna che in precedenza si trovava nello strip club di cui sopra a godere della performance pornografica ma anche degli sguardi degli altri spettatori. E di nuovo, controcampi e primissimi piani, occhi e labbra, mani che toccano le classiche zone erogene alla ricerca di piacere. E poi dopo, l’omicidio brutale.

lo squartatore di new york
Il primissimo piano sugli occhi tanto caro a Lucio Fulci

Il cinema di Lucio Fulci trova quindi pieno compimento proprio nel voler indugiare la macchina da presa nelle classiche situazioni scomode, portandole ad un’estrema esasperazione. Avvalendosi di generi già di loro volti a minare le certezze dello spettatore, ossia l’horror e il thriller, Fulci ne prende le regole per usarle ed abusarne, portandole alle conseguenze ultime, andando oltre il limite consentito.

O per usare una menzione presente in Filmare La Morte, meraviglioso saggio firmato da Chianese e Lupi (Ed. Il Foglio, 2010), un “cinema di immagini, che devono essere assorbite senza alcuna riflessione”. I compromessi, con Lucio Fulci, non esistono. E forse è proprio per questo che non non gli è mai stato dato ciò che realmente meritava. Un regista del quale se ne dovrebbe parlare ancora molto e a lungo.