Lucio Fulci, alla scoperta del Cinema di un Genio dimenticato

Un breve viaggio nel cinema del grandissimo Lucio Fulci.

Lucio Fulci
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Dalla definizione Treccani, l’artigiano è colui che “esercita un’attività (anche artistica) per la produzione (o anche riparazione) di beni, tramite il lavoro manuale proprio“. Un aggettivo con il quale Lucio Fulci veniva apostrofato e, di conseguenza, anche il suo cinema. Un cinema fatto di generi, più o meno tutti, e che trova l’esordio nella commedia. Giovane sceneggiatore per Steno, passò dietro la cinepresa con le commedie, fedele regista di Franco e Ciccio ma anche di Totò.

Poi una prima svolta, con il passaggio al western per poi proseguire con il giallo. Erano gli anni Settanta, anni in cui nei cinema italiani dominavano proprio i gialli di Martino, i Western di Leone e gli horror di Argento. E così, da artigiano del cinema, Lucio Fulci iniziò ad entrarvi con le sue mani, con aggressività, arrivando a coniare per sé stesso l’espressione “Terrorista dei generi“. Ma andiamo con ordine.

Il Cinema di Lucio Fulci – Il terrorismo dei generi

Per capire a pieno la definizione di cui sopra, è necessario conoscere le modalità con cui Lucio Fulci si approcciava al cinema. Un regista da oltre cinquanta film all’attivo, con periodi ben definiti dal tempo. Un blocco di commedia sexy, un blocco giallo, un blocco horror, con questi ultimi due che andavano mischiandosi tra loro.

Ma perché terrorista? Il discorso che riportano Paolo Albiero e Giacomo Cacciatore nel libro che riprende proprio questa locuzione (Il terrorista dei generi. Tutto il cinema di Lucio Fulci: Le Visioni, Leima, 2015) è emblematico di come la potenza, non sempre compresa, del cinema di Fulci fosse proprio quella di un artigiano che distrugge le convenzioni e i canoni impostati dei generi.

Lucio Fulci, Luca Il Contrabbandiere
Lucio Fulci in un cameo nel suo Luca Il Contrabbandiere

Sovversione, provocazione. Difficile dare una definizione accorta di un cinema fin troppo bistrattato per anni dalla critica più convenzionale, salvo poi essere oggetto di rivalutazioni grazie al citazionismo di Tarantino, che tanto deve al cinema italiano di genere, nonché ad approfondimenti puntuali di Nocturno, ben lontani dalla superficialità di qualche stellina e poche righe a corredo.

Senza addentrarci in polemiche sterili e tornando alla storia del cinema fulciano, è interessante vedere come l’anno della svolta sia il 1979, con un sequel apocrifo volto a cavalcare l’onda del successo romeriano di Zombi. È possibile individuare già qualche accenno di venatura sin dai suoi western, decisamente più violenti rispetto alla convenzione stilata fino a quel momento.

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Una violenza che sfocia in un vero e proprio teatro della crudeltà artaudiano, aggettivo che utilizzò Moravia per definire Le Colt Cantarono la Morte e fu... Tempo di Massacro del 1966. Un’espressione che molto piacque a Lucio Fulci, tanto da appropriarsene per definire i suoi film, in particolare L’Aldilà, film che vide la luce addirittura 15 anni dopo.

Il 1969 vede Fulci passare al Giallo, con un film che riprende il Vertigo di Hitchcock osando dove il regista inglese, qui nel suo periodo americano, non poteva di certo osare. Con Una Sull’Altra, il regista romano si addentra in una dimensione onirica che asseconda una certa morbosità erotica di un certo spessore.

La carica erotica del film è palpabile per tutta la sua durata con scene memorabili come la vagina di Marisa Mell con due occhi dipinti sopra e una scena di sesso saffico che all’epoca diede sufficiente scandalo.

Una sull'altra,
La famigerata scena dello spogliarello di Una Sull’Altra

Lucertole e Paperini

Il vasto mare del giallo italiano diventa dunque posto ideale dove Lucio Fulci può dare sfogo al suo genio, costruendo due film di pregevole fattura. In ordine cronologico, Una Lucertola Con La Pelle di Donna e Non Si Sevizia Un Paperino. Due film opposti per molti aspetti ma che allo stesso tempo trovano vicinanza nel voler mostrare come il male riesca a mimetizzarsi tra la gente comune senza troppe difficoltà.

Nel primo film menzionato, Florinda Bolkan emerge su tutto, immersa fra scene oniriche che lasciano sicuramente il segno per la loro efferatezza. Così come l’intera sequenza che vede la protagonista entrare nella stanza di un ospedale e trovarsi di fronte a lei quattro cani vivisezionati, magistralmente costruiti da Rambaudi.

Un film che si fa carico anche di un forte messaggio sociale, visto lo sfondo delle contestazioni dei Settanta che è ben più di una semplice cornice. Un perfetto contraltare rispetto la morale borghese che di fatto scatena la follia omicida del killer in questione.

Sorte analoga per certi aspetti anche nelle terribili vicende raccontate in Non Si Sevizia Un Paperino. L’onirismo del precedente film viene accantonato per una componente più flokloristica, tra superstizione e presunte streghe, in un paesino sperduto del sud Italia.

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Una micro realtà che diventa specchio del macrocosmo italiano dell’epoca, nel quale viene posto al centro del discorso proprio l’istituzione ecclesiastica. Non aggiungeremo altro per non rovinare la visione a chi ancora deve gustarselo.

Ciò che preme sottolineare è un leit motiv tecnico che il regista inizia ad imprimere sui suoi film come marca autoriale precisa, oltre la ricerca di sequenze oggettivamente morbose. Una zoommata ripresa dal genere western che però Fulci modificò, agendo al rovescio rispetto al canone classico. Primissimi piani sui volti dei personaggi che andavano poi ad allargare il campo, partendo soprattutto dagli occhi, scelta anatomica non del tutto casuale.

“L’occhio frustrato, traviato, distrutto, per me significa anche perdita della ragione. L’occhio è un preciso riferimento surrealista e dadaista”

Afferma così, in un’intervista riportata da Nocturno in uno dei suoi accurati dossier dedicati al regista romano. Impossibile dunque non pensare al Cane Andaluso di Buñuel. L’occhio dunque come raccoglitore ultimo di razionalità e ragione. Celebri in tal senso moltissime sequenze che racchiudono gli attentati al genere compiuti da questo terrorista barbuto. In particolare, dal 1979.

La svolta horror di Lucio Fulci

In Zombi 2, infatti, impossibile dimenticare la scena che vede protagonista una sventurata Olga Karlatos. Dapprima, la macchina da presa si ferma ad osservare le sue nudità sotto la doccia, così come lo zombi che poco dopo la ucciderà in un modo a dir poco feroce e cruento.

Dopo una breve colluttazione in cui la donna sembra avere la meglio, ecco che il morto vivente afferra la sua testa dopo aver distrutto una porta, trascinandola pericolosamente verso un asse di legno ben appuntito. Un gioco di controcampi classico volto ad aumentare la tensione di pari passo con l’avvicinarsi dell’occhio alla scheggia della porta. Fino ad indugiare con un primissimo piano alla perforazione dell’occhio.

zombi 2, Lucio Fulci
Un frame della violentissima scena dell’occhio cavato in Zombi 2

Ciò che colpisce, oltre al morboso realismo, è senza dubbio l’estrema ferocia con cui Lucio Fulci amava condire il suo cinema. Portare i suoi film su livelli che nessun altro aveva mai osato vagamente sfiorare. Un sadismo che non a tutti piace ma che al tempo stesso solletica una certa pulsione voyeur in chi guarda.

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