“Siamo giovani affamati, siamo schiavi dell’hype Non si vendono più i dischi, tanto c’è Spotify”
Parte il refrain e Peyote inizia a colpire nel segno. L’hype, inteso come entusiasmo per un evento (l’uscita del nuovo film MCU, magari, ma anche Sanremo stesso) è l’unica vera droga dei nostri tempi. I giovani affamati (affermati nella seconda parte del refrain), che la società consumistica vuole e rende perennemente insoddisfatti, ne vogliono e ne cercano sempre di più.
“Non si vendono più i dischi / Tanto c’è Spotify” è un verso che non necessita di spiegazioni. Per quanto in tanti, specialmente in età più avanzata, ancora oggi caschino dalle nuvole quando gli si dice che il successo degli artisti è deciso dalle piattaforme streaming e che i negozi di dischi, complice la mannaia definitiva della pandemia, si stanno defintivamente esinguendo.
“Riapriamo gli stadi, ma non teatri né live Magari faccio due palleggi, mai dire mai”
E qui il riferimento alla pandemia si fa chiaro. Come è noto, dall’autunno del 2020 alla primavera del 2021 i teatri e i cinema sono rimasti chiusi, mentre le partite di calcio negli stadi sono proseguite, se pur con le dovute misure di sicurezza. Certo, si potrebbe obiettare che si tratta di strutture diverse, che presentano problematiche di sicurezza sanitaria differenti.
Ma ciò che Willie implica è che per l’italiano medio sia più importante avere le partite in televisione che gli spettacoli teatrali o di musica dal vivo. Questione di priorità. Ragion per cui, per continuare a lavorare, il rapper pensa di re-inventarsi come calciatore. Mai dire mai, cioè: ci si deve adeguare e di questi tempi meglio non vietarsi nulla a prescindere.
“Ora che sanno che questo è il trend Tutti che vendono il culo a un brand Tutti ‘sti bomber non fanno goal Ma tanto ora conta se fanno il cash”
La brandizzazione (o, meno elegantemente, vendere “il culo”) è uno dei maggiori crimini morali in una scena che si fregia di autenticità come quella rap. Eppure, non c’è nessuna novità: già nel lontano 2000 i Gemelli DiVersi (che non erano i 99 Posse, d’accordo, ma tant’è) avevano scritto addirittura una canzone per uno spot di una famosa bevanda gassata.
Per Peyote però, cantante che come Caparezza non si riconosce nell’artista rap medio italiano, lo sposalizio con un brand continua ad essere riprovevole. Posizione rimarcata da un attacco, forse anche metaforico, ai calciatori “bomber” che non fanno goal; che potrebbero essere anche, fuor di metafora, cantanti che non fanno nulla di importante. Basta che facciano i soldi.
“Pompano il trash in nome del LOL E poi vi stupite degli exit poll? Vince la merda se a forza di ridere Riesce a sembrare credibile”
Questa è una delle strofe migliori della canzone: il trash viene colpevolmente assimilato dall’italiano medio in nome del LOL (“Laughing Out Loud”), cioè in virtù del bisogno di ridere e distrarsi. Ma troppa distrazione, avverte Peyote, avrà poi risultati nefasti alle elezioni: che governo può eleggere un pubblico drogato di Temptation Island?
Eppure, non si può negare che negli ultimi anni i contenuti trash abbiano assunto sempre maggior rilevanza, proprio perché capaci di toccare quella parte dell’italiano che vuole svagarsi. Anche qui, viene facilmente in mente l’immagine di Fiorello e Amadeus che cantano “Siamo Donne”, sempre in questa edizione del Festival.
“Cosa ci vuole a decidere “Tutta ‘sta roba c’ha rotto i coglioni”? Questi piazzisti, impostori e cialtroni A me fanno schifo, ‘sti cazzi i milioni“
Tutta la sottigliezza della strofa precedente qui si perde in una presa di posizione chiaramente ideologica. “Io non mi vendo, rimango fedele alla qualità”, ecc.. Peyote chiede: perché il pubblico non riesce a rinunciare ai riprovevoli contenuti trash? Per lui è tutto o niente: o si guarda, o non si guarda.
Dopo un fugace riferimento alla Bughexit, ormai uno degli eventi culturali (ma anche trash, non a caso) per eccellenza dell’Italia contemporanea, Willie passa per un attimo su un terreno minato. Attacca l’ipocrisia di certo neo-femminismo che promuove l’emancipazione della donna ma tramite un gesto, il twerking, che tutto fa tranne che de-oggettificare il corpo femminile.
“Non so se mi piego, non so se mi spezzo Non so se mi spiego, dipende dal prezzo Lo chiami futuro, ma è solo progresso Sembra il medioevo più smart e più fashion”
Sul finale Willie tira le somme. Vale la pena vendersi? Davvero lui è nella posizione di poter accusare tutti gli altri? Nel frattempo si interfaccia con la realtà del mondo contemporaneo, visto nel frattempo con uno sguardo più distanziato: il medioevo, ovvero la cultura dell’ignoranza (la famosa “università della strada”) ma sempre “smart” e “fashion”.
“Se è vero che il fine giustifica il mezzo Non dico il buongusto, ma almeno il buonsenso Ho visto di meglio, ho fatto di peggio Ecco, tu di’ un’altra palla, se riesco palleggio“
“Ho visto di meglio, ho fatto di peggio” è il verso nel quale il rapper colloca anche sé stesso nel bailamme così acutamente descritto. Chiede buonsenso, se proprio è necessario sacrificare qualcosa. Ma, ancora, non rinuncia all’idea di sé stesso come “calciatore”, in un paese di stadi aperti e di teatri chiusi.
“Palla” nell’ultimo verso, è anche chiaramente metafora di bugia. Ma Peyote asserisce, se ci riesce, di voler palleggiare: ossia, “posso farmela andare bene”. Ovviamente si tratta di amara ironia, che però serve a descrivere come un po’ tutti noi, in quest’epoca, siamo messi alle strette, schiacchiati tra i nostri bisogni ed i nostri valori.