Di ambientazione Felliniana e di contenuto simile al Freaks (1932) di Tod Browning, entrambi calati nella realtà messicana, Alejandro Jodorowsky ancora una volta torna a puntare il dito contro la religione, ai suoi simboli e alla maligna influenza che esrcita sulle persone. Il regista attraverso i suoi personaggi grotteschi e le sue atmosfere oniriche, da vita ad un racconto fatto di ricordi e di incubi, dove sacro e profano si intrecciano ed infine si scontrano nell’animo del protagonista.
Il film è caratterizzato da momenti di autentica poesia, intervallati da violenti squarci di splatter e permeato da atmosfere oniriche, surreali, grottesche e malsane, elementi caratteristici dell’arte del regista messicano, ma anche del mestiere di Claudio Argento e Roberto Leoni, rispettivamente produttore e co-sceneggiatore del film.
La montagna sacraa cui allude il titolo del film è una fantomatica e misteriosa montagna situata sull’inesistente isola del Loto, sulla cima della quale, secondo l’Alchimista, si trovano nove immortali custodi del segreto riguardo la verità del mondo e della vita; come poter cedere la propria individualità del singolo io e diventare un unico io collettivo, in comunione con gli uomini e le donne che popolano questo mondo.
Impersonato dallo stesso Alejandro Jodorowsky, l’alchimista è una sorta di profeta, custode di una verità più grande; si fa carico dell’istruzione dei personaggi principali ed assumerà il ruolo di loro guida spirituale per condurli in cima alla montagna sacra, spodestare gli immortali ed ottenere quella grande verità da condividere con l’umanità intera.
Tra le pellicole visivamente più impressionanti della storia del cinema, un maestoso, monumentale susseguirsi di immagini pregne di simbolismi allo stesso tempo estreme e folgoranti. Il regista immerge lo spettatore nel proprio mondo, un unione di filosofie mistiche, personaggi simbolici e immagini surreali ma allo stesso tempo realistiche in un film stracolmo di rappresentazioni di concezioni sull’identità e tutta la vita stessa. Più che un film un’esperienza di vita, imprescindibile nella filmografia di Alejandro Jodorowsky, quando le immagini valgono più di mille parole.
In El Topo, Alejandro Jodorowsky si cala nei panni del protagonista che attraversa un western surreale caratterizzato da strani personaggi e ambigue vicende, saturato dall’uso di allegorie religiose di ogni tipologia.
Il film è diviso in due parti, che presentano entrambe moltissime analogie con l’Antico e il Nuovo Testamento della Bibbia. El Topo “La Talpa” in spagnolo, è un pistolero che vaga per il deserto con appresso il figlio di 7 anni. Dopo aver trovato un intero villaggio massacrato crudelmente da un gruppo di fuorilegge, si propone di esercitare la giustizia divina e di fare i conti agli autori dei crimini. Così si avvia il percorso fisico e interiore di un pistolero che tra violenze, sacrifici e insegnamenti, si interroga sulla propria integrità morale, viaggiando alla ricerca del senso della vita.
Parecchie le suggestioni e commistioni di generi: dallo western, alla commedia, fino all’horror. La rappresentazione della società nel film è la stessa ricorrente nella filmografia del regista: persone squilibrate, fanatici religiosi e ipocriti, violenza e odio. Una rappresentazione fumettistica dello schema ciclico della nostra esistenza: il transito tra sacro e profano, tra ridicolo e sublime, gioioso e deprimente, tra vita e morte.