Wonder Woman 1984, Recensione del sequel con Gal Gadot
Wonder Woman 1984 arriva finalmente anche in Italia. Dal 12 Febbraio il nuovo film di Patty Jenkins con Gal Gadot sarà disponibile per il noleggio su tutte le principali piattaforme digitali. Ecco la nostra recensione in anteprima.
Atteso al cinema per il 5 Giugno 2020, Wonder Woman 1984 di Patty Jenkins ha finalmente una data d’uscita italiana. Se il pubblico americano ha potuto vedere il film dal 25 Dicembre 2020, con una doppia release che ha coinvolto contemporaneamente il circuito delle sale e la piattaforma HBO Max, il 12 Febbraio diventa per noi la data fatidica (qui i dettagli).
Da Amazon Prime Video a YouTube, da TIMVISION a Chili, Rakuten TV, Sky Primafila e Infinity: non c’è praticamente nessuna delle piattaforme attive in Italia che non risulti coinvolta in questa grande operazione di esclusiva digitale. Notoriamente, Patty Jenkins (che per Wonder Woman 1984 diventa anche co-sceneggiatrice e co-produttrice) era fermamente contraria a qualunque ipotesi che escludesse il grande schermo.
Ma la stessa regista, che nel 2017 con Wonder Woman (qui un po’ di curiosità a tema) aveva infranto ogni record, nel corso del surreale anno 2020 ha rivisto le sue posizioni. Girata in 35 millimetri e 65 millimetri IMAX, l’attesissima seconda incursione del DC Extendend Universe nel mondo di Diana Prince non era certo progettata per il piccolo schermo.
Al contrario, se l’azione vira drasticamente dall’Antica Grecia delle Amazzoni alla ruggente, rapace America dei primi anni ’80, il film che Patty Jenkins e Gal Gadot hanno iniziato a “sognare” già dal 2017 è naturalmente una grandiosa rifondazione del mito, un’epica avventura, ma soprattutto un’opera che parli al presente.
Verità e desiderio sono le parole chiave del film, ripetute quasi ossessivamente, perché configurino due sistemi di valori antitetici, due visioni destinate a scontrarsi, scatenare una guerra che si allarga fino a coinvolgere l’umanità intera.
Sarebbe stato forse impossibile perfino per Patty Jenkins e Gal Gadot bissare il successo della origin-story: il primo Cinecomic mai diretto da una donna, ma soprattutto il primo film del DCEU a mostrarsi realmente centrato, forse imperfetto, ma capace di restituire ironia, dinamicità e chiaroscuri a un’universo, un’idea di Epica sempre più oscura e statica.
Dopo la premiere americana di Wonder Woman 1984, le prime recensioni non sono state notoriamente delle migliori. Ma prima di rincorrere i rumors e procedere a giudizi arbitrari, vi invitiamo ad analizzare con noi questa nuova avventura (rigorosamente senza spoiler).
Wonder Woman 1984: la Trama
Nel 1984 Diana Prince, alias Wonder Woman, viene chiamata ancora a battersi per il destino dell’umanità. Da molti anni Diana (Gal Gadot) vive serenamente la propria doppia identità. Formalmente si presenta come una giovane donna di successo, esperta d’arte, antichità e preziosi manufatti. Eppure, per quanto operi solo in incognito, non ha mai perso i suoi super-poteri.
Meno che mai ha perso di vista gli ideali che definiscono la sua esistenza: pace, comprensione, verità, giustizia. Il nuovo, inaspettato incontro con l’amore della sua vita, Steve Trevor (Chris Pine), ma soprattutto lo scontro con due nuovi incontenibili villain, Max Lord (Pedro Pascal) e Cheetah (Kirsten Wiig), la porteranno a comprendere ancora più a fondo la sua natura, e così la sua visione del mondo.
Truth is beauty. La verità è bellezza.
Wonder Woman 1984: Recensione in anteprima
Dc Extended Universe e Marvel Cinematic Universe sembrano aver ormai radicalizzato le proprie strutture. La diversità speculare dei due universi, infatti, si presenta sempre più evidente nella stessa concezione delle linee narrative.
Se quello Marvel è un multiverso post-moderno, che moltiplica costantemente personaggi e rimandi interni, con Wonder Woman 1984 Patty Jenkins sembra tornare a un’idea sempre più classica di “High-concept comedy”: un dramma che si configura nello scontro di personaggi archetipici, chiamati a rappresentare ideali diametralmente opposti.
Non si tratta banalmente dello scontro tra Bene e Male, ma dell’evoluzione di una super-eroina dal volto sempre più umano, che definisce strenuamente se stessa nell’incontro con l’altro. Il lavoro di Patty Jenkins e degli sceneggiatori Geoff Johns e Dave Callaham, in termini di una nuova, seconda rifondazione del mito, non si limita allora a evocare luci e ombre degli anni ’80.
Il personaggio di Diana Prince viene letteralmente proiettato nello spazio e nel tempo. E se il film si apre con un lungo flashback, mostrando Diana bambina, impegnata a gareggiare nella lontana, mitologica e irrealistica Grecia delle Amazzoni, quella di Wonder Woman 1984 non è una banale rievocazione nostalgica degli anni ’80.
Gal Gadot e la sua Diana Prince hanno il fascino ma anche la malinconia di una semi-divinità immortale, capace di attraversare i decenni senza apparentemente invecchiare di un giorno. Paradossalmente, mentre Wonder Woman ci conduce fisicamente alla riscoperta degli anni ’80, la sua immagine è sempre più consapevole, sempre meno Pop.
L’esplosione di luci al neon, marsupi, tute acetate e centri commerciali multi-piano sembrano raccontare l’illusione di un mondo in espansione, dove tutto è possibile, ma è la stessa configurazione delle linee narrative a riportarci nel cinema degli anni ’80: che si tratti delle sequenze action, delle parentesi da situation-comedy o degli interludi più smaccatamente romance.
Dialoghi, costumi, scenografie, fotografia e montaggio raccontano così le contraddizioni di un mito, che evidentemente non ha più niente di ellenico. È l’America come terra delle opportunità, affamata di ricchezza, divisa tra loser e vincenti.
Non è un mistero che il primo villain del film, Max Lord, interpretato da Pedro Pascal, sia diventato nella visione di Patty Jenkins uno dei molti alter-ego di Donald Trump: affarista capace di costruire un impero partendo praticamente dal nulla, o forse da un’interpretazione molto elastica del confine che separa lecito e illecito, verità e menzogna.
“No true hero is born from lies”. È questa la lezione che impara Diana Prince bambina, che Gal Gadot e Patty Jenkins esprimono attraverso le varie tappe del viaggio, che riscrive il mito di Wonder Woman: creata nel 1941 da William Moulton Marston, psicologo e teorico del femminismo, considerato ormai una figura determinante della cosiddetta “seconda ondata femminista egualitaria”.
Tra gli anni ’40 e ’70, dal fumetto alle serie tv con Linda Carter, Wonder Woman è stata la prima autentica icona pop che raccontasse anche una battaglia reale, una guerra di liberazione, affermazione e riscatto. Evidentemente, anche nella visione contemporanea del DCEU, meno provocatoria e decisamente più solida, Diana Prince non ha esaurito la sua missione.
“High concept” a parte, Wonder Woman 1984 è e resta una grande giostra, un prodotto d’intrattenimento puro, che sa come garantire sane emozioni. E forse il fattore determinante sono proprio i suoi “multiple villain”: Max Lord e Cheetah.
Pedro Pascal e Kirsten Wiig sono assolutamente brillanti, e mentre tracciano il loro percorso nel film, tra le musiche maestose di Hans Zimmer e i costumi irresistibili di Limmy Hemming, superano ampiamente i confini del banale antagonista, per raccontare sostanzialmente due nuove origin-story.
Le notizie ufficiali dall’universo Warner e Dc vogliono Gal Gadot e Patty Jenkins già al lavoro sul terzo capitolo della saga. Intanto, in attesa di conoscere il futuro di Wonder Woman, vi raccomandiamo come sempre di seguire il film fino alla fine, e oltre i titoli di coda. Tra la folla, ritroveremo anche una vecchia, magnifica conoscenza…