Spotify vuole customizzare le playlist basandosi sull’umore dell’utente dedotto dal tono di voce
Lo sappiamo quali sono le prime due parole che vengono in mente: Black Mirror. E in effetti l’idea di Spotify sta già facendo discutere e sta suscitando preoccupazioni in lungo e in largo. Davvero il più visitato sito di streaming musicale può sentire che cosa diciamo? Vediamo di capire bene di cosa si tratta.
Secondo il New Musical Express, Spotify ha fatto nel 2018 richiesta di una “patente” che gli consenta di percepire suoni e rumori nell’ambiente dell’utente. La patente è stata confermata lo scorso 12 gennaio. La trovate a questo link. La tecnologia servirà a raccogliere segnali vocali e rumori di fondo per stabilire informazioni di base sull’utente.
Pariamo di età, sesso, accenti (e dunque, presumibilmente, provenienza) ma anche stato emotivo; un parametro sul quale già si basano parecchie playlist studiate di default da Spotify (contro lo stress, per le passeggiate rilassanti, motivazionali per il workout, ecc.). Lo scopo è infatti stabiire se l’utente è felice, arrabbiato, triste o “neutrale”.
Come se fossimo in Abe’s Exoddus (il videogioco) e una persona possa trovarsi solo in questi quattro stati d’animo. D’altra parte, parliamo di algoritmi: un’approssimazione è d’obbligo. In ogni caso verranno “percepiti” anche suoni di veicoli, cinguettii di uccelli, stampanti che stampano. Insomma: tutto quello che serve per ricostruire un “ambiente”.
Spotify ci “spia”?
Tutto questo non deve stupire: la ricostruzione delle caratteristiche e delle preferenze di un utente è ciò che già fanno la maggior parte dei siti che frequentate: chiamasi data mining. A questo segue il customer targeting, ossia l’offerta, avanzata all’utente, del prodotto che meglio potrebbe rispondere alle sue esigenze di consumo.
Su Spotify per il momento ciò viene fatto sulla base di input diretti da parte degli ascoltatori: dite cosa vi piace e Spotify vi proporrà altro di conseguenza. Ora, questo è il “tedioso” meccanismo che si vorrebbe eliminare, in modo da rendere il targeting più fluido e l’esperienza più immediata e piacevole per ciascuno.
Detto questo, veniamo alla domanda che un po’ tutti si staranno ponendo: Spotify registrerà le mie conversazioni? Mi spia? Risposta: no. Si percepirà il ritmo del parlato, la velocità, il numero di parole messe insieme, l’intonazione. Ma nulla indica che gli algoritmi dovranno funzionare per ricreare unità di significato.
In ogni caso, vista la preoccupazione suscitata dalla notizia, Spotify dichiara che: “Vengono richieste patenti per centinaia di invenzioni. Alcune diventano parte di futuri prodotti, altre no. Vogliamo solo creare la miglior esperienza audio possibile, ma al momento non abbiamo novità“. Questo significa che, anche se la possibilità c’è, non è detto che verrà messa in atto.
Fonti: New Musical Express, Pitchfork, Music Business Worldwide