La nuova creatura di Matt Groening, distribuita da Netflix, è arrivata alla sua terza stagione dopo un buon inizio e un continuo non proprio brillante. Come avevamo già visto durante la sua prima apparizione, la natura di Disincanto collide in parte con la fruizione in streaming. Questo perché, senza una distribuzione a cadenza giornaliera come fu per I Simpson e Futurama in TV, le varie stagioni possono essere portate a termine in tempi decisamente brevi. È sicuramente un problema che affligge numerose serie, soprattutto quelle con una progressione da 10 puntate.
Uno dei problemi più evidenti di questa nuova creatura è la sua strana progressione narrativa. Da un lato abbiamo alcuni elementi che vengono inseriti in modo estremamente curato all’interno della trama generale, altri sembrano inseriti in modo forzato e spesso senza nessun bisogno logico. La prima stagione fu comunque un esperimento riuscito, mentre la trama cercava di farsi spazio girando un po’ intorno a pochissimi elementi, i protagonisti della serie venivano finemente sviscerati e presentati. Non si può invece dire lo stesso per quanto riguarda la seconda stagione dove le forzature sembravano ancora più evidenti e le sezioni comiche erano arrivate a livelli decisamente basilari.
Paese che vai, stranezza che trovi.
La seconda stagione portava i protagonisti in terre lontane da Dreamland presentando nuove razze e personaggi. Le nuove puntate offrono spunti ancora migliori e li rendono realmente parti integranti dell’universo di Disincanto. Steamland viene quindi sviscerata in modo più attento senza dare l’impressione di escamotage narrativo o elemento troppo distante dall’idea iniziale. Dopo la famiglia contemporanea composta dai Simpson e il bizzarro universo futuro di Futurama, Matt Groening si cimenta in un passato fantasy e lo fa richiamando ogni sottogenere appartenente a questo genere, perfino quindi lo steampunk.
La trasversalità del genere magico/medievale di Dreamland e quello steampunk di Steamland è stata notevolmente omogenizzata nella nuova stagione facendo sì che la nuova ambientazione potesse finalmente offrire allo spettatore una nuova dimensione dove poter creare intelligenti collegamenti con la società moderna e quindi anche buoni spunti di riflessione. Non stiamo parlando di un trattato di filosofia ma anche il semplice parallelismo tra fabbrica, comunismo e Metropolis aumenta la percezione di aver di fronte uno schema ben definito e una perfetta differenziazione degli scenari.
Non solo il magico trio, l’elemento forte sono i personaggi…
A caratterizzare la serie, e questa nuova stagione, sono però i personaggi che ne fanno parte. Bean, Elfo e Luci vengono finalmente separati e la loro profondità viene lavorata singolarmente. Purtroppo il piccolo demone è il personaggio più bistrattato in queste ultime 10 puntate di Disincanto, relegato a semplice spalla comica nei pochi momenti in cui appare a schermo. Elfo riesce invece a ritagliarsi il proprio spazio e la sua personale storia riesce a raggiungere un punto chiave che vedrà sicuramente la fine del suo nuovo corso nella futura stagione. Vien da sé che è proprio Bean l’anima dell’universo narrativo e questa nuova stagione riesce a spingere maggiormente sull’acceleratore progredendo sotto diversi aspetti, soprattutto nelle relazioni con gli altri personaggi.
Viene finalmente a crollare lo stereotipo di matrigna insensibile di Oona che invece si rivela un personaggio decisamente più sfaccettato rispetto al passato. Anche il fratello minore Derek trova una nuova strada e una sua evoluzione all’interno della trama. Odval e l’Arci-druidessa diventano invece fondamentali, il primo più subdolo e complesso mentre la seconda più diretta e trasparente. Il vero perno della nuova stagione sarà però il Re Zøg che riuscirà a donare profondità alle vicende di Bean in modo diretto, in netto contrasto con la narrazione più complessa e misteriosa rilegata alla madre della protagonista.
… anche se non tutti.
Non tutti i personaggi però sono stati inseriti in modo coerente e intelligentemente. Il ritorno di Big Jo, personaggio non del tutto convincente anche prima della sua (ormai falsa) dipartita, tornerà senza alcun senso e senza aggiungere niente che un nuovo personaggio potesse ricoprire. Matt Groening lavora però da sempre in quella direzione, un roaster ampio ma fisso di personaggi da poter reinserire al momento del bisogno. Anche il ritorno degli orchi nella fase finale risulta più un compromesso di trama che un gradito ritorno, anche se in questo caso la nuova stagione potrebbe ribaltare la situazione come successo con Steamland.
Una nuova (vecchia) veste comica.
Il più grande pregio della terza stagione di Disincanto è quella di riportare un po’ di luce sulla vena comica dell’opera. Oltre a premere sull’acceleratore per quanto riguarda i sempre apprezzati riferimenti politici e sociali odierni, la nuova stagione torna su tempi comici che funzionano decisamente meglio che in passato. Niente di miracoloso, siamo lontani dall’irriverenza di Rick & Morty, ma si ride molto di più in queste nuove puntate che in tutta la serie passata.
Luci, nei pochi inserimenti concessi, sarà nuovamente la lingua tagliente che critica aspramente la società moderna mentre Elfo sarà in tutto e per tutto la macchietta comica. Ci sono molte meno remore anche verso la sessualità, quindi mostrando senza problemi sederi e forme femminili, ma soprattutto si abbassa notevolmente il limite nei confronti delle droghe e degli eccessi. Ci si distacca quindi dal passato borderline per orientarsi maggiormente su un target ben prestabilito, un pubblico più adulto e soprattutto cosciente di ciò che gli si presenta davanti.
Il trio di protagonisti è oltremodo mutevole, i tre caotici buono, neutrale e malvagio si assottigliano e si evolvono in sfaccettature più complesse. A definire del tutto l’andamento di questa evoluzione è senza dubbi il destino di Luci, personaggio che sicuramente avrà uno spazio tutto suo nella futura stagione.
Disincanto: luci e ombre sulla nuova creatura di Matt Groening.
Mettendo tutto sul piatto della bilancia ci troviamo quindi di fronte a un progetto che ha faticato a trovare la propria identità ma che sta pian piano risalendo una difficile scalinata. La trama procede con il contagocce e si prende i propri tempi, inizia però a delineare una struttura più coerente rispetto al passato.
Dopo l’allontanamento iniziale, Bean riscopre l’importanza della famiglia, che essa sia di sangue o semplicemente acquisita. Alcuni personaggi non riescono ancora a prendersi i propri spazi e altri ancora sembrano inseriti come mero riempitivo. Si vede però una flebile luce in fondo al tunnel che tenta di rimettere insieme i pezzi. La quarta stagione di Disincanto sarà quindi la prova del nove e dovrà confermare il buono di queste ultime puntate limando i difetti che si porta dietro.