Capcom ha da poco concluso il Resident Evil Showcase, un evento con tante succose notizie per i fan della saga (anche se qualcuno si aspettava l’annuncio di un nuovo remake). Chiamata Biohazard in Giappone, la serie survival horror per eccellenza sembra vivere una seconda giovinezza: tra remake, nuovi capitoli, film, le vendite sono alle stelle.
Quanti conoscono però la vera origine di questo franchise multi milionario? I più navigati, per non dire attempati, ricorderanno Alone in the Dark, sicuramente fonte di ispirazione. Tuttavia Resident Evil, nelle sue fasi embrionali, nasce come remake di un altro gioco: Sweet Home.
Casa dolce casa
Nell’ormai lontano 1989, Capcom portò l’horror nel mondo console con Sweet Home, rilasciato su Nintendo Entertainment System (chiamato Famicom in Giappone). Il gioco è basato sull’omonimo film scritto e diretto da Kiyoshi Kurosawa. Purtroppo nessuna delle due opere è mai stata distribuita ufficialmente fuori dalla terra del sol levante. Le premesse del gioco e del film sono le stesse: cinque personaggi si addentrano nella villa abbandonata di un famoso pittore, morto trent’anni prima, per documentare la ricerca dei suoi capolavori perduti. Ovviamente la villa è infestata da un ricco assortimento di mostri, fantasmi, zombie e aberrazioni affini.
Sweet Home non è un survival horror, o almeno non lo è secondo i canoni moderni del genere, definiti proprio da Resident Evil e poi da Silent Hill. Si tratta infatti di un gioco di ruolo giapponese, o JRPG, sullo stile dei primi Final Fantasy o Dragon Quest. Il giocatore è chiamato a vestire i panni dei cinque protagonisti, ognuno con le proprie abilità uniche e caratteristiche che ricalcano i ruoli classici dei gdr. Il party può essere però composto solo da un massimo di 3 personaggi, è necessario quindi organizzare bene come muoversi a gruppi all’interno della villa per… sopravvivere.
Orrore e sopravvivenza
Giocare a Sweet Home stupisce ancora oggi. Anzi, forse oggi più che mai. Pur non essendo un survival horror moderno, come dicevamo, alcuni dei pilastri del genere sono già ben definiti. La prima cosa che colpisce è l’atmosfera fin da subito opprimente. La scelta cromatica, le musiche sinistre, i nemici distorti e dai dettagli macabri contribuiscono ad una sensazione di disagio costante.
Anche se sconosciuto ai più, Sweet Home era e rimane un ottimo gioco, da molti considerato tra i migliori GDR disponibili sull’8-bit Nintendo. Oltre all’indubbia originalità , Capcom è riuscita a spremere bene le potenzialità tecniche della console, con un comparto audio/video apprezzabile ancora oggi. Il gioco, inoltre, può finalmente essere apprezzato anche da chi non parla giapponese grazie ad una fan translation.
L’amatissima serie di Resident Evil ha quindi delle origini nobili. Guardate bene il trailer di Village adesso. La trovate ancora lì quella oscurità mista a senso di oppressione nata oltre trent’anni fa.