Maynard James Keenan si diverte ogni tanto ad organizzare queste grosse jam session con i suoi amici; poi i suoi amici sono bravi, e allora lui prende i suoi testi e ce li canta sopra. Tutto questo processo si chiama Puscifer. La spiritualità di Existential Reckoning cerca di mettersi in contatto con una dimensione sovraumana, captandone i segnali radio: chitarre e tastiere suonano come gli apparecchi alieni nei film sci-fi. Nello stesso momento, Keenan medita per un’ora sugli elementi dell’ordine cosmico e sui simboli dell’inconscio collettivo umano, spostando la sua prospettiva di follia scientifica al piano della conoscenza individuale.
A cura di Francesco Di Perna.
39. Shabaka and the Ancestors – We Are Sent Here by History
We Are Sent Here by History è l’album di punta di quest’anno per il genere jazz. Il secondo lavoro del progetto del sassofonista anglo-barbadiano Shabaka Hutchings insieme con i suoi “Ancestors” sorprende ancora per le ritmiche sincopate, i riff di contrabbasso su tempi dispari ed, ovviamente, gli stupendi assoli di sax che prendono dai più maturi King Crimson. Le percussioni ricordano il folk africano e lo confermano i poetici versi intonati sporadicamente, dai quali traspare la missione del complesso di riportare in vita i suoni della terra alla quale si deve gran parte della musica americana. Un disco, quindi, che merita di certo un posto tra i migliori di quest’anno.
A cura di Ivan Arena.
38. Jay Electronica – A Written Testimony
Il resoconto di un adepto alla Nation of Islam reso con il linguaggio del ventunesimo secolo. Le aspettative sul primo full-lenght di Jay Electronica erano altissime, anche perché riuscire a convincere Jay-Z del tuo talento con un EP di 15 minuti e due singoli non deve essere facile: le ha ampiamente superate. Electronica si approccia al suo disco da regista, coordinando le proprie strofe (anche in spagnolo e in arabo) e i propri beat da co-protagonista con il lavoro di Jay-Z, che fa il main character; gioca un po’ al minimalismo, ma le scelte non sono banali. Si mette seduto, batte il ciak da solo e da lì in poi è la sua vita all’interno della N.O.I, con un tocco autoriale notevole per l’equivalente musicale degli exploitation film, cioè il rap.
A cura di Francesco Di Perna.
37. Protomartyr – Ultimate Success Today
L’ultima fatica dei Protomartyr arriva in estate con una aggressività che il gruppo di Detroit non ci aveva mai mostrato prima d’ora. La mancanza dei riff distintivi dei loro primi brani è presto evidente: le chitarre, distorte all’inverosimile, giocano molto sul “negative space”, lasciando solamente i loro feedback a sostenere i testi di Casey, che, in mezzo a versi pungenti e “conscious” anti-autoritari, riesce ancora una volta a raccontare tra le righe la morte, l’isolamento e il suo malessere. Insomma, Ultimate Success Today altro non è che un ulteriore prova dell’importanza del nome Protomartyr nella nuova era del punk.
A cura di Ivan Arena.
36. Porridge Radio – Every Bad
Nella complessa e sfaccettata scena post-punk del 2020, così celebrata, i Porridge Radio giocano da outsider ma lo fanno più che bene. La band propone un post-punk/new wave che si potrebbe collocare facilmente ad inizio anni ’80. Non è difficile ritrovarci i Cure di Pornography, o i primi Echo and the Bunnymen. Qui l’aggressività punk lascia posto all’atmosfera, che sfiora vette gothic rock del tutto anacronistiche dipingendo nel contempo un panorama sonoro tanto nostalgico quanto ispirato. Se dal 2020 si vuole tornare indietro di quarant’anni, questo disco è un ottimo mezzo.
A cura di Andrea Campana.
35. Pearl Jam – Gigaton
Dopo sette anni da Lighting Bolt, rieccoci di nuovo con Vedder e compagni. Con la stessa grinta di sempre. Le volontà di pubblicazione discografica dettate dalla pandemia ci hanno portato fortunatamente questo atteso ritorno, fatto di incursioni al limite dell’heavy metal dove si trova spazio anche per il rock chitarristico alla Idles o Fontaines D.C.. Le impercettibili svociate di Vedder contribuiscono alla splendida grezzaggine del tutto. Com’è ovvio, c’è notevole spazio per le ballate. Com’è meno ovvio: c’è n’è anche per il blues. In generale, si respirano le atmosfere tipiche della band, se li si giudica in base alla loro intera carriera. Infatti, Gigaton potrebbe essere considerato come l’enorme summa artistica di chi ha compiuto il suo trentesimo anno di attività. Accorrete nostalgici!
A cura di Tiziano Altieri.
34. Four Tet – Sixteen Oceans
Ogni oceano in questo disco non è fatto soltanto di acqua, che pure sarebbe una delle sinestesie più efficaci per la musica di Four Tet. L’esperimento è molto personale e probabilmente non sarà una mazzata di nuovo nel panorama dell’elettronica; la sua unica ragione d’esistere è la creazione di paesaggi dettagliati, privati e non fraintendibili. Restringere quanto più possibile il campo di interpretazione della musica elettronica è un atto di timido coraggio. La scintilla musicale di Kieran Hebden restituisce un album lento e impegnato a disegnare tutti i particolari dei sedici oceani. La sua, e di (quasi) nessun altro. Perché se la musica non deve per forza farti riflettere, può darti tutto il necessario per farsi contemplare.
A cura di Francesco Di Perna.
33. beabadoobee – Fake It Flowers
La cantautrice londinese dal nome impronunciabile diventata nota in tutto il mondo per aver prestato la melodia della sua Coffee al rapper americano Powfu per il singolo Death Bed (Coffee for Your Head), ha rilasciato quest’anno il suo primo LP, Fake It Flowers. Beabadobee è appena ventenne, eppure sembra essere cresciuta con l’alternative rock degli anni ’90/primi ’00, tra PJ Harvey, R.E.M. e Smashing Pumpkins. Gusti che trovano posto in questo nostalgico album, rimpiazzando i suoni da bedroom pop ai quali la nostra ci aveva abituati con i primi EP e che accomunano un po’ tutta la new wave di cantautori venuti fuori dalla rete.
A cura di Ivan Arena.
32. King Gizzard & the Lizard Wizars – KG
Eccoci con l’ultima fatica dei mattacchioni di Melbourne. Dopo Flying Microtonal Bananana, la band non riesce a fare meno di usare i quarti di tono, e ce ne accorgiamo fin dall’intro per poi averne conferma in seguito. Siamo sempre dalle parte della psichedelia, stavolta di quella più old school e coinvolgente, quella dei picchi lisergici toccati durante i Sixties che qui si fanno talvolta lancinanti. Inusuali strumenti suonati alla grande vi daranno l’illusione che una seconda voce vi stia accompagnando lungo questo viaggio inacidato, reso compatto dalla fusione di intro ed outro di quasi ogni traccia. Agli orientalismi cui la band ci ha sempre abituato, si aggiungono anche sonorità più poppeggianti che stupiscono in un disco dei KG, spiazzandoti piacevolmente. Molto ben fatto.
A cura di Tiziano Altieri.
31. Empress Of – I’m Your Empress Of
I’m Your Empress Of, il terzo album di Empress Of, è stato come un fulmine a ciel sereno. L’album mostra senza problemi i pregi e i limiti della cantante newyorkese, forte di un’immediatezza e una consapevolezza acquisita negli anni. Questo terzo lavoro di Empress Of rappresenta un buon punto d’arrivo nella sua carriera musicale. Ma mostra una raffinatezza fresca e immediata, una capacità di scrittura moderna, in cui confluiscono sperimentazioni di tipo house e synth-wave. Ascoltare I’m Your Empress Of è come assistere all’evolversi di una creatura che promette di trasformarsi in qualcosa di bellissimo.