Jak and Daxter è Naughty Dog dopo Crash Bandicoot ma prima di Uncharted
Jak and Daxter è un platform 3D dei primi anni ’00, un gioco senza troppe pretese ma allo stesso tempo ottimamente realizzato, che mostra forse per la prima volta tutte le potenzialità di una casa come Naughty Dog. Prima di The Last of Us, prima di Uncharted, ma dopo Crash Bandicoot.
Ci sono sempre Andy Gavin e Jason Rubin dietro al primo progetto “serio” dell’azienda, che giunge cinque anni dopo l’inizio della serie di Crash, nel 1996: siamo quindi nel 2001. Il franchise del marsupiale mutante è stato ormai abbandonato dopo Crash Team Racing (1999) ed è tempo di focalizzarsi su qualcosa di più “adulto”.
Certo, Jak and Daxter mostra un’evoluzione lenta, ancora incerta e poco convinta nell’abbandonare il settore platform e il pubblico più giovanile. Ma è un’evoluzione innegabile e necessaria. Un passaggio obbligato, seguito in parallelo da altre case: come Insomniac, che da Spyro passa per Ratchet & Clank prima di giungere alla serie di Resistance.
Jak and Daxter: passato e futuro
Jak and Daxter è ambientato in un mondo che richiama insieme un immaginario post-apocalittico/steampunk e un contesto ancestrale/primitivo. In questo mondo si vive una vita semplice, pastorale, in mezzo alle rovine di un popolo perduto noto come i Precursor (precursori).
La tecnologia e i manufatti perduti di questi antichi scomparsi (le cui sorti verranno svelate solo in Jak 3) sono al centro della trama e del gameplay. Misteriose fonti di energia, come le “batterie” da collezionare, le uova Precursor e soprattutto lo strano “eco” che conferisce al protagonista poteri straordinari, sono le intuizioni che fanno funzionare il gioco.
Jak and Daxter debbono indagare sul passato della loro terra, trovandosi loro malgrado coinvolti in un complotto ordito da uno studioso dell’eco oscuro, una specie di anti-materia acida dalle proprietà corrosive e imprevedibili. È questa, all’inizio del gioco, a causare la trasformazione di Daxter in uno strano esserino peloso e a fornire la motivazione iniziale per il viaggio.
Il viaggio dell’eroe, il vecchio saggio, la bella da conquistare
Il gioco si muove in gran parte su stereotipi, che però funzionano in quanto, qui, la trama non è ancora al centro dell’insieme (come accadrà, invece, da Uncharted in poi). Jak è l’eroe coraggioso, audace e avvenente, caratteristiche miracolosamente mitigate dalla felice intuizione di averlo reso (solo in questo primo gioco) privo di favella.
Daxter è il comprimario, una specie di “Ciuchino“, che commenta sarcasticamente tutto quello che succede: la letteraria “spalla comica”. C’è poi Samos, il vecchio burbero ma saggio e colmo di sapienza, con sua figlia Keira, ragazza naturalmente bellissima ed emancipata, aiutante dei protagonisti ma mai davvero importante.
I “cattivi”: Gol e Maia, una coppia di psicopatici corrotti dai poteri dell’eco oscuro. A forza di studiarlo, si sono convinti di volerlo utilizzare, assieme alla tecnologia Precursor perduta, per “conquistare il mondo”… o qualcosa del genere. Non è davvero importante: vanno fermati e tanto basta.
Il gameplay
Se le premesse del gioco funzionano quel tanto che basta a giustificarne l’avvio, ciò che subito trascina il giocatore è l’esperienza di gameplay vera e propria. Innanzitutto, una grafica per l’epoca di qualità non indifferente. Diversi ambienti da esplorare, con oggetti da raccogliere ma caratterizzazioni sufficentemente realistiche, fanno il resto.
Il mondo di Jak and Daxter non è diviso in “livelli” accessibili da un hub, come in Crash Bandicoot, ma è tutto collegato. Viene introdotto anche l’avveniristico (per l’epoca) ciclo giorno-notte: un ulteriore passo verso il realismo. I due personaggi possono saltare, attaccare e sfuttare i poteri a loro disposizione per muoversi tra nemici, meccanismi ancestrali e templi perduti.
Ci sono “scatole” da rompere, ereditate da Crash, ma anche piccoli puzzle game da risolvere, o aree anche ampie da visitare per portare a termine delle mini-quest. Lo scopo finale è sempre quello: raccogliere le famose batterie, che consentono, in una maniera o nell’altra, di proseguire nel viaggio verso “nord, il lontanissimo nord”.
“Fammi indovinare: ci sono… ragni nelle Grotte del Ragno, giusto?”
Abbiamo insomma un gioco di piattaforme molto intuitivo, con tanta azione e poche chiacchiere. Quelle rare interazioni consentite con altri NPC servono solo a dare avvio alle varie mini-quest, che comunque si concludono con il reperimento delle solite batterie. Niente di eclatante.
Quello che funziona davvero, in Jak and Daxter, è la varietà d’ambientazione e la coerenza interna che il gioco rispetta sempre. I “livelli” sono legati all’estetica comune del setting, per esempio dalla onnipresenza degli antichi e misteriosi manufatti Precursor, o dal carattere steampunk di tanti macchinari.
Naturalmente un altro elemento che funziona benissimo è quello dei “segreti”: gli oggetti nascosti, inizialmente inarrivabili e la cui conquista porta maggior soddisfazione dell’abbattimento di qualunque boss. Un altro classico motivo dei platform tradizionali calato in una realtà più complessa e matura.
Molto con poco
La ragione per cui Jak and Daxter si può dire un gioco tanto riuscito è che riesce a fare molto relativamente con poco. Si tratta di un gioco equilibrato, che sfrutta con misura nello sviluppo tutti i mezzi a disposizione per creare una realtà ben tratteggiata e non invadente.
Tutto funziona al posto giusto, dai vivissimi e piacevoli colori alle piccole gag e battute, dalla musica al sistema di esplorazione degli ambienti. Le deviazioni, come le corse con l’hovercraft “Zoomer”, sono adeguatamente poche: arricchiscono l’esperienza di gioco senza corromperla.
Anche il finale aperto, dopo la battaglia campale per la “salvezza del mondo” (o quel che sia) è adatto perché non preme troppo su una trama in fondo inessenziale e costruita, seppur con coerenza e intuito, solo per fare da impalcatura concettuale al piccolo universo di Jak and Daxter.
Ritorno al “futuro”: Jak II e 3
Le cose cambiano radicalmente con i due sequel del titolo, che arrivano nel 2003 e nel 2004, a stretto giro. Per farla breve: Jak e Daxter viaggiano nel tempo, ritrovandosi in un futuro che dallo steampunk ci porta al cyberpunk più calcato, alla Blade Runner o simili. Questione di gusti, ma la serie perde parecchio nel passaggio.
Trama: distopia, mercanti corrotti, un tiranno da sconfiggere e una resistenza da sostenere. Visto e rivisto e rivisto. Qui ci si muove in una direzione marcatamente più adulta, come prova la caratterizzazione più “guerresca” di Jak (che ora parla), l’utilizzo di armi e un chiara deviazione verso l’open world alla GTA.
Le ambientazioni sono caotiche, spesso fogne, fabbriche o anonime caserme o palazzi. Si compiono di continuo quest che coinvolgono sparatorie o l’abbattimento di nemici senza identità. Nel terzo capitolo le cose vanno leggermente meglio: si esplorano templi e territori perduti e la trama si risolve nello svelare l’origine e il destino dei Precursor. Ma niente come il primo titolo.
Conclusione
Jak and Daxter, per quanto possa apparire un gioco ingenuo e poco approfondito se rivisto oggi alla luce delle successive produzioni Naughty Dog, conserva un’autenticità e una semplicità preziose che nei videogame sono in gran parte andate perse a favore di iper-produzioni complesse, intricate e ambiziose.
Il piacere di un gameplay semplice, immediato e scorrevole, che non cerchi di imitare qualche film ma che riassuma invece un ambiente che è la naturale evoluzione dell’estetica di Crash Bandicoot, è un qualcosa che si può ritrovare qui come non si ritrova altrove.
Un esperimento unico, un momento di passaggio che segna quel delicato attimo (il 2001, all’incirca) nel quale i videogiochi, soprattutto platform, iniziano a diventare “seri” ma non sono ancora così seri. Un titolo da riscoprire, per riabbracciare l’idea del videogioco come puro divertimento.
Jak and Daxter: The Precursor Legacy | Testato su PlayStation 4 – via PlayStation Now –