Gaspar Noé, analisi della filmografia | 5 film nel segno dell’eccesso

Gaspar Noé rientra a pieno titolo fra i maestri del cinema contemporaneo, in cui è piombato con la sua fragorosa originalità e provocazione.

Gaspar Noé
Enter the Void
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Gaspar Noé è indubbiamente uno dei più controversi e discussi registi del panorama cinematografico contemporaneo. Nonostante la sua carriera sia iniziata già nel secolo scorso, il cineasta franco-argentino ha avuto l’indubbio merito di rinnovare costantemente le sue riflessioni su temi ed argomenti ben definiti e per lui indiscutibilmente centrali come i corpi, i colori, l’amore, l’effetto delle droghe, la violenza, senza mai ripetersi in maniera fine a sé stessa. Con il coraggio tipico dei grandi artisti, Noé si è sempre arrogato il diritto di scandalizzarsi e di scandalizzare il suo pubblico, suscitando per questo reazioni assai contrastanti nei suoi spettatori e finendo più volte nell’occhio del ciclone della critica. Analizziamo nel dettaglio il percorso artistico di questo cineasta corsaro attraverso un’analisi dei suoi lungometraggi.

Solo contro tutti (1998)

A cura di Lorenzo Pietroletti

Gaspar Noé
Solo contro tutti (1998)

L’esordio sul grande schermo di Gaspar Noé, abile provocatore, che dà il via alla sua carriera riprendendo quanto fatto poco prima. Solo contro tutti é infatti il sequel di Carne, folle cortometraggio che guarda alla figura di un macellaio con evidenti problemi di sociopatia. Il mondo è cattivo, una frase che appare come un mantra e che lo porterà ad odiare tutto ciò che lo circonda. Le strade brulicano di uomini mediocri, di gente che non merita il suo rispetto. Il mondo è cattivo e lui si adegua, si adagia su questa cattiveria, nutrendosene a piene mani con un certo nichilismo; le immagini che si susseguono sono un concentrato di violenza gratuita, figlie di un mondo filtrato dallo sguardo decadente del Macellaio.

Un inizio a dir poco roboante, quello di Noé, con un film capace di scioccare dall’inizio alla fine. Tuttavia, forse per una certa bontà nel suo esordio, in questo primo lungometraggio veniamo esortati ad abbandonare la visione con un countdown di trenta secondi che occupa tutto lo schermo; stiamo parlando proprio di quella classica didascalia con quell’ormai suo classico font, che rompe la quarta parete e cattura lo sguardo dello spettatore. E nonostante l’avvertimento, è pressoché impossibile aderire a quest’esortazione.

Ammiccando ai film che hanno chiaramente formato il regista dell’acclamato Climax, Noé lancia il suo primo sasso colpendo nel segno come sarà suo solito fare. Solo contro tutti é un film che si ama o si odia, mero esercizio stilistico, vuota provocazione. Solo contro tutti rappresenta un esordio vincente che, seppur amato e odiato allo stesso tempo, lascia indiscutibilmente qualcosa nel cuore e nella mente di chi guarda, sia essa esaltazione o indignazione.

Amore e odio, esattamente come le due pulsioni simboleggiate dal Macellaio, un moderno Travis Bickle mosso dal disgusto verso ciò che lo circonda; disgusto che Noé sa perfettamente come trasporre in immagine e restituire allo spettatore, per arrivare ad un epilogo prevedibile e sconvolgente al tempo stesso. In fin dei conti, la contraddizione è ciò che, come vedremo, sorregge il cinema di Noé. Un cinema fatto di provocazioni e false speranze, in cui il finale non ha mai un’accezione univoca.

Irréversible (2002)

Gaspar Noé
Irréversible (2002)

Presentata in una veste del tutto inedita a Venezia 76, Irréversible rimane la pellicola più discussa e scandalosa elaborata dalla mente di Gaspar Noé. Il film, con protagonista l’allora coppia formata da Vincent Cassel e Monica Bellucci, costituisce una lacerante riflessione sulla tirannica natura del tempo e sulle sue ineludibili conseguenze, in un continuo avvolgimento su sé stesso. Come preannunciato efficacemente dallo stesso titolo, la peculiarità di Irréversible consiste in un montaggio che scardina la lineare consequenzialità dei fatti, per mostrare come il tempo distrugga ogni cosa, massima posta a sigillo della conclusione.

In un ambiente a metà fra la banlieue e i quartieri della borghesia, Irréversible ci mostra una possibile manipolazione del tempo, in un vorticoso giallo all’insegna del sesso, della droga, della violenza sadica, dell’amore, in cui a far da spartiacque é una crudissima scena di stupro con protagonista Monica Bellucci. La filosofia del film poggia su un sostrato di inspiegabile, sulla convinzione che non tutto possa essere spiegato e che tutto sia scritto, con una particolare attenzione alla funzione dei sogni premonitori.

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Il comportamento dei protagonisti innesca in maniera drammatica dei meccanismi di causa-effetto a cui non si può sfuggire e ai quali si può semplicemente sottostare. L’impossibile accettazione di una violenza subita dalla propria donna induce Marcus a perpetrare violenze altrettanto efferate nei confronti dei possibili aguzzini o complici dell’atrocità in questione, facendo sì che la spasmodica ricerca di un nome, meccanismo tanto caro al Nolan di Memento, sfoci in un’infernale discesa all’Inferno.

Irréversible gioca molto sul meccanismo della discesa fisica come allegoria di una storia che si fa via via più peccaminosa, man mano che Marcus scende verso i piani più bassi degli edifici in cui si trova, come perfettamente esemplificato dalla scena al Rectum, in cui sembra che ogni livello rappresenti un diverso girone infernale, in un vortice di perdizione e perversione. Il dolce idillio finale é l’emblema di ciò che sarebbe potuto essere e mai sarà, poiché Le temps détruit tout.

Enter the Void (2009)

Gaspar Noé
Enter the Void (2009)

Uno dei temi incontrovertibilmente legati al genio di Gaspar Noé è rappresentato dal binomio Eros-Thanatos, conflitto meravigliosamente incarnatosi nella terza fatica del discusso cineasta: Enter the Void. Definito dallo stesso regista come un melodramma psichedelico, il film è un meraviglioso affresco di luci caleidoscopiche che tenta di definire l’esperienza post-mortem secondo la dottrina del Libro tibetano dei morti. Attraverso un processo di dissociazione dal proprio Io e dalla propria coscienza, lo spettatore viene immerso completamente in un’esperienza audiovisiva totalizzante, fatta da sequenze di trip che molto devono ai più grandi classici della fantascienza, 2001: Odissea nello spazio su tutti. Così come avverrà anche in Love, Noé gioca nuovamente con la classica concezione dello spazio e del tempo, assemblando un viaggio che ci mostra il presente, il passato e il possibile futuro del protagonista.

Oscar diventa così tacito spettatore, come tutti noi, della sua vita e di quelle degli altri protagonisti coinvolti nelle vicende che, in un modo o in un altro, hanno portato alla sua morte. Un ruolo d’indubbio rilievo è ricoperto da Linda, sorella di Oscar, con la quale il fratello ha tessuto fin dalla tenerissima età un rapporto al limite del morboso, dovuto ad un incancellabile trauma infantile che li lega in un patto siglato col sangue.

I due fratelli si muovono fra le vie ed i locali di una Tokyo assemblata su un meraviglioso arcobaleno cromatico, che affresca una scenografia a metà fra il trip e l’onirico. Tuttavia la contrapposizione fra l’idillio possibile e la dura realtà si ripropone con maggior forza rispetto a quanto visto in Irréversible, con dei passaggi repentini di scena che testimoniano il bad trip vissuto da Oscar in seguito alla sua morte. Il falso processo di scioglimento finale, in cui rivestono un ruolo primario le citazioni a Irréversible e Love, simboleggia ancora una volta un epilogo in cui il lieto fine non è altro che una meravigliosa parvenza.

Love (2015)

gaspar noé
Love (2015)

La pseudoscientifica legge di Murphy c’insegna che Se qualcosa può andar male, andrà male ed è proprio questo il principio alla base di Love, quarto lungometraggio di Gaspar Noé, e del suo protagonista, Murphy. Come preannunciato già in Enter the Void, seppur in maniera velata, Noé realizza un film interamente incentrato sull’Eros, catturato e dipinto nelle sue complessità e contraddizioni più laceranti.

Il film ci mostra la turbolenta storia d’amore tra Electra e Murphy, relazione il cui imprinting spirituale trova uno stupefacente corrispettivo nel viscerale legame fisico che unisce indissolubilmente i due. I protagonisti vivono un’intimità tanto pura quanto eccessiva, dipinta attraverso delle scene esplicite in cui il letto gioca il ruolo del nido sicuro nei loro attimi più felici, accompagnato dall’amata musica classica e dagli abbacinanti colori caldi, emblema della pura passione. Attraverso l’ennesimo gioco con i meccanismi temporali e un continuo andirivieni fra presente e passato, il registra dimostra come questa mirabile congiunzione di sesso e sentimento possa esistere solo nel passato di Murphy, accompagnato da un presente triste e soffocante.

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Love è un film sull’amore brutale, a tratti spietato, ma terribilmente sincero. Nella vicenda rappresentata sullo schermo non c’è alcuna via di mezzo fra l’amore sfrenato e morboso e la sua totale distruzione, non può esservi alcun compromesso fra i colori caldi di un sentimento autentico e quelli freddi di un mero automatismo fisico; i tentativi di porsi fra questi due estremi non sono altro che il prolungamento di un’agonia già annunciata, che colpisce lo spettatore come un sordo pugno allo stomaco. Anzi, il principale sentimento che cresce durante il susseguirsi dei fatti é ancora una volta la rabbia per ciò che sarebbe potuto essere e mai sarà, proprio a causa di una mezza misura frapposta tra l’amore totale e la sua distruzione, ossia la scelta di Electra di coinvolgere una terza persona (Omi) nella sua moribonda relazione con Murphy.

Nel film più autoreferenziale (basti pensare alla figura del protagonista, studente di cinema americano a Parigi proprio come Noé) e citazionista di Noé, il protagonista ci rende parti dei suoi pensieri, espressi tramite voce fuori campo, trasportandoci nella sua prigione di rimorsi e infelicità, in cui nemmeno la paternità può rappresentare uno spiraglio di luce o avvicinarsi minimamente agli infiniti abbracci con la donna tanto amata quando odiata.

Climax (2018)

gaspar noé
Climax (2018)

Ancora una volta la locuzione latina nomen omen si rivela più che accurata nel definire il rapporto fra il titolo e la materia plasmata da Gaspar Noé. L’ultima fatica del regista francese indaga in maniera quanto mai turbante la dimensione associativa dell’essere umano, attraverso la lente d’ingrandimento rappresentata dall’LSD.

La prima parte del film è incentrata sulla massima Nascere è un’opportunità unica, tanto che la situazione iniziale che ci viene prospettata è quella di un collettivo di ballerini, accomunati da un’estasi dionisiaca provocata dalla danza, che unisce in una sorta di amore collettivo individui assai differenti fra di loro. Tuttavia, il dionisiaco contiene in sé un’ineliminabile componente perturbante, che via via comincia ad insinuarsi nei numerosi dialoghi fra i membri di questa crew francese, grotteschi e surreali nella loro comicità violenta. E’ così che improvvisamente la danza comincia a trasformarsi in un malessere diffuso, poiché i bad trip provocati dall’LSD agiscono in maniera sempre più violenta su ognuno dei protagonisti.

È così che la follia insita nello spirito dionisiaco divampa in un soffocante incubo da cui lo spettatore non riesce ad evadere e per il quale non riesce a trovare un vero colpevole, così come i protagonisti sulla scena. La spasmodica ricerca di una vittima si trasforma progressivamente in un vortice di violenza e misfatti, in cui Gaspar Noé non risparmia allo spettatore atrocità perpetrate nei confronti dei soggetti più deboli. È così che ci rendiamo conto di quanto sia pregnante la seconda massima che si staglia sullo schermo durante lo scioccante delirio collettivo a cui stiamo assistendo: Vivere è un’impossibilità collettiva.

Quando sembra che la pellicola abbia raggiunto il suo acme di follia, ecco che le manie e le ossessioni si fanno sempre più macabre, spandendosi nell’unico ambiente claustrofobico su cui è costruito l’intero film. Si susseguono così incesti, abusi di ogni sorta e macabre danze in una pellicola che agglomera in poco più di un’ora e mezza i principali filoni tematici cari a Noé, fin quando la camera si capovolge per riportarci alla sequenza iniziale del film. A sigillo del delirio mostrato allo spettatore, Noé pone la terza e conclusiva massima: Morire è un’esperienza straordinaria.

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