Sound of Metal, Recensione del film di Darius Marder
Sound of Metal: la nostra Recensione dello straordinario film d'esordio di Darius Marder, sorretto da un incredibile Riz Ahmed. Disponibile su Amazon Prime.
Sound of Metal è un film del 2019 diretto da Darius Marder. Dopo essere stata apprezzata sia al Toronto Film Festival che allo Zurich Film Festival, l’opera è uscita nelle sale americane il 20 novembre 2020, per poi arrivare, anche nel nostro Paese, in streaming su Amazon Prime Video, dove potete tutt’ora vederlo.
Sound of Metal: la Trama
Ruben è un batterista e insieme a Lou, frontman del gruppo e sua fidanzata, si appresta ad intraprendere un tour. Quando sono ancora all’inizio, però, Ruben improvvisamente riscontra problemi di udito. Recatosi da uno specialista scopre che la sua capacità è compromessa e rischia di diventare completamente sordo.
Incurante e ostinatamente incredulo tenta in tutti i modi di opporsi all’evidenza dei fatti e cerca un modo per riacquistare il senso che sembra ormai perduto. Una soluzione c’è, ma è costosa. Grazie all’aiuto e al sostegno di Lou, Ruben si reca in una comunità di sordi per adattarsi e imparare a convivere, e vivere, con la propria nuova condizione.
Sound of Metal: il Cast
Riz Ahmed: Ruben Stone
Olivia Cooke: Louise “Lou” Berger
Paul Raci: Joe
Lauren Ridloff: Diane
Mathieu Amalric: Richard Berger
Sound of Metal: Recensione
Perdere l’udito è davvero la cosa peggiore che può capitare ad un musicista? La premessa su cui regge Sound of Metal è profondamente drammatica, ma Darius Marder va oltre, pur senza mai intraprendere una strada decisa.
Il regista, al suo primo lungometraggio, indaga il concetto di incomunicabilità, attraverso un racconto all’apparenza semplice, che si impone come filo conduttore per tutta la durata del film. Girando e rigirando attorno ad un unico evento, ossia la perdita dell’udito da parte di Ruben, Marder riesce a mettere a nudo le sfaccettature della personalità ermetica del suo protagonista.
La sceneggiatura, solidissima, di Sound of Metal vive in maniera simbiotica con il protagonista, compiendo un lavoro intimamente sensoriale, senza però mai tralasciare nulla. Ruben è una personalità rigida e chiusa in se stessa, il suo dolore non trasuda quasi mai, schiacciato sotto il peso della sua incredula ostinazione.
Il muro invalicabile che si costruisce pare costruirsi sulla volontà di negare a sé stesso e agli altri la schiavitù della propria nuova condizione. Si autoconvince di poterne uscire, di poter tornare a sentire, a sentire il ritmo e tornare sul palco alla sua batteria con la sua Lou.
Nonostante l’impenetrabilità del personaggio, Marder riesce a far emergere quel dolore e quella rabbia, sussurate, sì, ma vive e intense, attraverso un cinema fatto di sguardi. Questo anche in virtù della performance di Riz Ahmed che si rivela qui interprete straordinario. L’attore riesce a dare vita ad un personaggio freddo ma espressivo e intimamente sfaccettato. Con un lavoro degno d’applausi, riesce a sorreggere da solo il peso dell’intero racconto.
Sound of Metal non è un film sulla musica, ma un film sui suoni e proprio sulla colonna sonora Marder costruisce l’impalcatura per quella potenza espressiva di cui vi abbiamo parlato. Il film non gioca su grandi scene o momenti fondamentali, ma si erge su piccoli momenti la cui dinamicità è enfatizzata propria dalla sonorità, una sonorità corrotta.
Marder gioca sull’idea geniale di utilizzare la colonna sonora per esprimere la coscienza sopita di Ruben. Lo spettatore è chiamato a condividere la percezione sonora del protagonista, ed ecco che le scene sono fatte di suoni ovattati o addirittura sono prive del tutto di suoni.
Ecco che l’incomunicabilità diventa il vero focus del racconto, è l’incomunicabilità di Ruben che si dimostra incapace di adattarsi alla sua nuova esistenza. È così che, quasi impazzendo, Ruben deve imparare un modo tutto nuovo di comunicare e “parlare”, grazie al sostegno di una comunità per non udenti che lo accoglie e lo fa rinascere. Sound of Metal Marder mette in questo modo a nudo la fragilità di Ruben, sbattendogli in faccia il suo isolamento e la sua solitudine generate dalla sua ostilità al cambiamento.
Siamo lontani dalla trilogia dell’incomunicabilità di Antonioni, che poneva in essere una solitudine ed un’incapacità espressiva tutta esistenziale e moderna. Sound of Metal gioca su un piano puramente pratico. Ma altrettanto efficace attraverso cui il regista riesce ad indagare sul profondo dissidio interiore di un animo isolato. Il film riesce a dare voce al dolore e allo strazio di Ruben, senza il bisogno di farlo parlare davvero.
Quello che è accaduto al protagonista lo costringe a ripensare a se stesso e alla propria vita, al modo in cui vive e al modo in cui si rapporta con il mondo attraverso la musica e attraverso la sua relazione con Lou. Sound of Metal pone il personaggio di fronte ad una serie di problematiche e dubbi del tutto pratici, e non emotivo-esistenziali, ai quali deve rispondere e deve ora adattarsi.